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Auto cinesi, non è solo questione di prezzi

di Pier Luigi del Viscovo

(AdobeStock)

2' di lettura

I costruttori cinesi punteranno sul prezzo per entrare nel mercato europeo, ma non dovranno dissanguarsi, grazie allo spazio lasciato dai costruttori europei i quali, dopo aver abituato il cliente a una soglia d’ingresso sui diecimila euro per una citycar, nel dopo-Covid hanno abbandonato questa fascia del mercato, chi alzando i prezzi e chi uscendo dal segmento.

Che l’auto cinese sarebbe sbarcata in Europa era annunciato. Cinque anni fa, mentre i costruttori europei si fregavano le mani per la crescita del mercato cinese che gli assorbiva milioni di macchine, qualcuno faceva notare lo squilibrio: nel commercio mondiale di auto la Cina pesava il 6% come import e appena lo 0,6% come export. Era frutto del vantaggio competitivo degli europei su motori e cambi, non colmabile in tempi brevi ma non per questo meno intollerabile. Però in pochi anni è cambiata la musica.

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Prima la svolta elettrica ha indebolito i costruttori europei, drenando centinaia di miliardi di investimenti. Il pulsante l’ha schiacciato il regolatore ma su pressione dei movimenti ambientalisti, molto ben organizzati e lautamente finanziati non si sa bene da chi. Il sospetto c’è, gli indizi anche ma non le prove. È certo invece che l’industria europea abbia rinunciato a difendere se stessa e i suoi lavoratori.

Poi Covid, chip e guerra hanno frenato la produzione e offerto all’industria, che aveva bisogno più di soldi che di vendite, l’occasione per alzare i prezzi e scegliere quali macchine sacrificare. Ovviamente le utilitarie, l’anello debole della redditività dove per guadagnare poco servono tanti volumi, produzione pianificata, utilizzo degli impianti, costi bassi e logistica super-efficiente.

In Italia, la regina delle piccole è la Panda, il cui valore medio netto di mercato è aumentato del 28% nel triennio 2020/22, tra incrementi dei listini e abbattimento degli sconti, incluso i chilomteri zero e nonostante gli incentivi che hanno limato verso il basso. In soldoni, il mercato europeo presentava una porta d’ingresso a 7/8mila euro. Adesso, complice il riposizionamento dell’offerta, la porta sta intorno ai 10/12mila: si accomodi, Dragone!

Alla fine, produrre 1/3 di macchine in meno e venderle care sta portando all’industria bilanci mai nemmeno sognati ma anche meno addetti: erano 13 milioni prima del Covid e adesso non si sa.

L’ACEA, l’associazione dei costruttori, da tre anni non li conta. Ora, l’industria esiste per creare ricchezza ma anche, avevamo capito, per finalità sociali, quella dell’auto in particolare. Chissà se l’occupazione rientra nelle politiche ESG? Magari no, visto che più addetti significano più benessere e più consumi e, in ultimo, più CO2. No, è più green far lavorare cinesi e africani.

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