Automotive, l’elettrico spiazza le Pmi: a rischio nove addetti su dieci
In Veneto le aziende che lavorano nel powertrain contano 10mila addetti. Visentin (Federmeccanica): sperimentare nuovi modelli
di Riccardo Sandre
3' di lettura
Sopravviverà un posto di lavoro su dieci. È questa la stima che fa il presidente di Federmeccanica Federico Visentin sulle conseguenze occupazionali di un passaggio drastico e poco ragionato al motore elettrico per quella parte del sistema dell’automotive territoriale che lavora sugli elementi meccanici del motore.
Una vera e propria ecatombe per un sistema, quello dell’automotive che vale complessivamente, secondo stime della Uil regionale sulla base di una ricerca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, poco meno di 3 miliardi di euro (2,914 miliardi di euro) e offre lavoro a circa 10mila persone solo in Veneto.
Un sistema di aziende produttrici principalmente collocate nelle province di Vicenza (31%), Padova (23%), Verona (19%), e Treviso (17%).
«Per chi lavora nel powertrain, e cioè nella fornitura di componenti per la propulsione, l’elettrico potrebbe essere devastante», spiega Visentin. E aggiunge: «Di fatto ogni 10 addetti rischia di restarne solamente 1, a meno di un’azione intelligente e ragionata da parte del governo italiano. La colpa delle imprese è di non essere state in grado di creare grandi aziende capaci di imporre trend globali di sviluppo nel settore dell’auto e di rimanere invece ancorate ad un modello di business della subfornitura che non sta sul lato giusto della catena del valore pure a fronte di knowhow e competenze di eccellenza. Stiamo chiedendo al nostro Governo di adottare una politica di neutralità tecnologica a proposito delle motorizzazioni, pure nel pieno rispetto degli obiettivi relativi alle emissioni. L’Italia potrebbe diventare piattaforma di sperimentazione di motorizzazioni alternativa all’elettrico puro, su cui rimangono molti dubbi, aprendo le proprie porte agli investimenti dei grandi gruppi globali in grado di governare i trend tecnologici di settore».
Nel frattempo il settore dell’auto, in attesa di una transizione elettrica complessa, vive un periodo di incertezza in cui le vendite sono compresse e le tecnologie in piena fase evolutiva. In questo contesto anche realtà industriali di eccellenza iniziano a vedere incrinate le proprie certezze di sviluppo.
È il caso di Moretto Group, circa 63 milioni di fatturato nel 2021 (erano 42 nel 2020 e 52 milioni nel 2019), circa 200 dipendenti e 4 stabilimenti, di cui 2 a Vicenza uno in Polonia e un altro in Serbia. Una realtà che lavora per marchi di prestigio producendo componenti per il motore termico come elementi delle frizioni, paracalori in alluminio per auto di lusso, componenti per le trasmissioni, per le sospensioni e così via, anche per le auto elettriche.
«Lavoriamo pure per la componentistica dell’auto elettrica ma i numeri che ci vengono richiesti non sono certamente in grado, ad oggi, di sostituire quelli destinati al motore termico» spiega Alfredino Moretto, presidente di Moretto group. «L’ossessione per la riduzione delle emissioni inquinanti (anche nei trasporti della componentistica) ci impone progressivamente di spostare la produzione verso la Polonia dove hanno sede i siti produttivi dei nostri clienti mentre l’elettrico toglie oltre l’80% dei pezzi meccanici dalle auto. I nostri sforzi vanno verso una riconversione prudente e graduale, ne abbiamo la forza e le competenze, ma per farlo dobbiamo essere aiutati e tutelati. Altrimenti il disastro per l’intera filiera è dietro l’angolo».
E mentre le imprese chiedono tempi congrui ad un percorso di riconversione non facile, per il sindacato il pericolo di azzeramento del settore si risolve solo con un programma di politica industriale in cui tutti gli attori in gioco collaborino a scongiurare un potenziale disastro industriale.
«Penso ad un patto per lo sviluppo e il cambiamento del lavoro» dichiara il segretario della Uil del Veneto Roberto Toigo. «Un tavolo operativo, snello e concreto, con i rappresentanti di Regione Veneto, imprenditori, artigiani e sindacati. Pochi ma precisi obiettivi: una mappatura delle aziende che dovranno trasformarsi, un’altra delle professionalità richieste. Quindi un chiaro progetto di formazione mirata. Il momento congiunturale è particolare: da una parte ci sono le risorse del Pnrr da investire, dall’altra una grave crisi energetica che sta alzando i costi, con pesanti ricadute sulle imprese e sulle famiglie. Dobbiamo assumerci la responsabilità di intervenire subito e portare fuori il Veneto da questa situazione e lo dobbiamo fare tutti assieme per il futuro dei nostri lavoratori».
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