2' di lettura
Non sarà una cerimonia di apertura classica. «È stata una sorpresa» dice Silvia Avallone, scrittrice, poetessa, piemontese di nascita – Biella è la sua città Natale – ma per metà toscana. A lei e al dialogo con il cardinale Ravasi è affidata la cerimonia di apertura del Festival di Trento. «È stata una bellissima sorpresa – ripete – ed è così forse che dovrebbe funzionare tutto nella vita. Incontrarsi, sorprendersi, dialogare anche da posizioni e ruoli diversi».
In tempi complessi serve mescolare linguaggi e culture?
Sono proprio questo genere di incontri a far muovere qualche idea nuova. Credo moltissimo nell’incontro tra “altri”, tra realtà diverse, tra persone che la pensano in modo diverso o vengono da storie molto diverse. È questo che accade leggendo un romanzo, si aprono quelle possibilità che noi abbiamo ma che senza l’incontro con l’altro non potrebbero fiorire.
Il suo romanzo più importante, Acciaio, parla di una fabbrica. Come guarda al mondo dell’economia?
Non ho competenze strette in economia ma conosco le storie del mondo del lavoro, la vita nelle province industriali d’Italia, alla fine dell’era industriale. Ho un portato di storie nel mondo del lavoro nella sua fase più dolorosa.
Come dovremmo pensare al nostro sviluppo futuro?
Io sono una scrittrice e il mio approccio con il mondo passa attraverso le storie con la s minuscola. Dentro le storie individuali però possiamo attingere a chiavi e paradigmi universali. Penso che in questo preciso momento storico che è devastante, perché usciamo da una pandemia che comunque non è risolta e siamo dentro una guerra, dobbiamo sfruttare la crisi per avere coraggio. E per me il coraggio passa da un’idea di Noi e degli Altri diversa dell’individualismo. Grazie a empatia e immedesimazione ricostruirei attraverso l’ascolto dell’alterità un nuovo senso di comunità. Non c’è benessere e futuro se non cominciamo a occuparci del sociale, di tutte le periferie e di tutte le esclusioni.
loading...