Avviata la stagione delle alleanze, la sfida è l’internazionalizzazione
di Giovanna Mancini
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Negli ultimi anni in Italia stiamo assistendo a un «grande processo di maturazione del sistema fieristico, che sembra essersi lasciato alle spalle l’epoca in cui i quartieri fieristici erano quasi in competizione tra loro per contendersi i settori produttivi e le aziende». Il presidente di Aefi (l’Associazione degli enti fieristici italiani), Ettore Riello, è ottimista: certo, siamo ancora agli inizi, ma la strada delle alleanze e sinergie – con l’obiettivo di rafforzare la competitività internazionale del sistema fiere – sembra finalmente tracciata. A fare da apripista, oltre un anno fa, Rimini e Vicenza, che da poco hanno presentato il primo bilancio della società nata dalla loro integrazione, con buoni risultati che danno ragione della scelta fatta e che, magari, spingeranno altri a seguirne l’esempio. Inoltre, aumentano i casi di accordi commerciali su singole iniziative o manifestazioni, come la recente collaborazione tra Verona e Parma per Wi-Bev.
«Oggi la sfida principale è l’internazionalizzazione – aggiunge Riello –, un terreno su cui altri Paesi, ad esempio quello tedesco, sono attivi da anni con modelli consolidati di successo». In questo senso, è stata un’ottima notizia il rinnovo, fino al 2020, del sostegno governativo alle attività di promozione all’estero delle fiere, all’interno degli incentivi previsti dal Piano straordinario per il made in Italy varato dal Mise. «Fino al 2015 il contributo dello Stato al settore era modesto – spiega Franco Bianchi, segretario generale del Comitato fiere industria (Cfi), l’agenzia di Confindustria che rappresenta gli organizzatori degli eventi – ma oggi le risorse a sostegno sono analoghe a quelle che i tedeschi hanno avuto per decenni». Un sostegno essenziale visto che, precisa Bianchi, «gli organizzatori sono sempre più proiettati ad attrarre visitatori dall’estero».
La nostra forza, dice Bianchi, è il made in Italy stesso, e su questa forza, una forza di nicchia ed eccellenza, devono puntare le nostre fiere, per competere con quelle tedesche, robuste nei numeri ma più generaliste nell’offerta. Soprattutto adesso che, riassorbito almeno in parte il contraccolpo della crisi economica, il settore ha ricominciato a crescere e prevede per il 2018 una conferma del trend positivo. Il comparto vale attorno ai 3 miliardi, di cui un miliardo degli associati Aefi, e genera un indotto stimato in almeno 5 miliardi.
Secondo Aefi, quest’anno in Italia si terranno oltre 900 manifestazioni fieristiche, 209 delle quali internazionali, un numero in crescita rispetto alle 185 del 2016 (il raffronto avviene su base biennale per garantire uniformità di perimetro). Crescita che conferma l’andamento rilevato dall’ultimo Osservatorio dell’associazione, rivolto a 26 fiere associate, che nel quarto trimestre del 2017 hanno dichiarato in larga maggioranza un aumento sia delle rassegne, sia di espositori e visitatori. Per l’anno in corso sono attesi 200mila espositori e oltre 22 milioni di visitatori.
Il sentimento positivo è confermato anche dagli organizzatori: «Il 2017 si è chiuso molto bene – dice Bianchi -, con l’8% in più di aziende espositrici e il 4,2% in più di visitatori. E il nuovo anno si è aperto per il meglio, come hanno dimostrato i risultati di Pitti a Firenze». In particolare, entrambe le associazioni concordano nel rilevare un aumento soprattutto nel numero di operatori (espositori e buyer) dall’estero. Si torna, perciò, al tema cruciale dell’internazionalizzazione del sistema.
Il 50% delle esportazioni italiane nasce da contatti originati durante la partecipazione a manifestazioni fieristiche, spiegano da Aefi, che del resto è da sempre molto attiva su questo fronte, come dimostrano i numerosi accordi siglati con agenzie come Ice, Sace, Simest e Centrex. «Internazionalizzazione per noi significa soprattutto portare gli operatori esteri in Italia, attraverso le operazioni di Incoming buyer – spiega il presidente Riello –. Questa modalità ha infatti ricadute importanti non soltanto sulle aziende presenti nelle fiere, ma anche, in termini di indotto economico, sui territori e le città in cui si svolgono le manifestazioni». Altra strada, è quella della collaborazione con altre strutture fieristiche internazionali, per condividere progetti all’estero: «Non ci sono ancora accordi eclatanti su questo fronte – precisa Riello – ma è un versante su cui molti quartieri fieristici hanno cominciato a muoversi».
Tutto bene, dunque? Non proprio. Resta aperta la partita sul fronte fiscale, aperta quando l’Agenzia delle Entrate ha deciso di equiparare le fiere ai padiglioni industriali per quanto riguarda l’importo dell’Imu. Scelta che ha colpito gli operatori: «L’utilizzo degli spazi, da parte delle fiere, è in media del 15% l’anno: non ha senso far pagare lo stesso carico Imu richiesto a chi utilizza un centro commerciale per 365 giorni l’anno – spiega Riello –. Parliamo di oneri aggiuntivi per almeno un milione di euro l’anno. Le nostre richieste finora non hanno avuto ascolto, ma continueremo a dare battaglia».
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