AWI, prima ricerca sui lavoratori dell’arte contemporanea
Sono professionisti con un elevato livello di istruzione ma contratti instabili, poche tutele, assenza di welfare e remunerazione vicina alla soglia di povertà
di Marilena Pirrelli
I punti chiave
5' di lettura
ART WORKERS (IN) ITALIA ha presenta ieri in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza / School of Law dell'Università Milano Bicocca la prima indagine dedicata al lavoro nel campo dell'arte contemporanea a livello nazionale, realizzata in collaborazione con ACTA (Associazione dei freelance), con uno spaccato quantitativo e qualitativo delle condizioni lavorative degli art workers dal punto di vista sociale, contrattuale e giuridico. Inoltre ha presentato la Guida ai compensi minimi (composta da una tabella con i compensi minimi raccomandati, una checklist di buone pratiche e un glossario di keywords) con il commercialista Franco Broccardi e i Modelli di contratto per i lavoratori del comparto con la professoressa di Diritto Comparato delle Obbligazioni e dei Contratti all'Università Bicocca Alessandra Donati.
Ma vediamo cosa ci rivela quest’indagine, la prima nel settore, utile sicuramente a individuare degli indirizzi per il Ministero della Cultura e i ministeri del Lavoro, dell’Economia e dell’Istruzione, per tutelare questi lavoratori della cultura: alla base 440 interviste ad un campione dei lavoratori nati tra gli anni ‘80 e ‘90, 60,5% donne e 31,5% uomini (8% non risponde). Appassionati del proprio lavoro e impegnati in attività molto intense, la maggior parte di loro ha una elevata professionalità (l'85,9% ha una laurea magistrale o un grado di formazione superiore, di cui il 27,8% ha studiato all'estero). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, dispone di contratti instabili e quindi di poche o scarse tutele, oltre che di redditi non proporzionati alle competenze richieste e spesso totalmente inadeguati a garantire la sussistenza. Per questo il fenomeno del multiple job holding qui è la regola: la grande maggioranza (81%) è costretta a svolgere più lavori, sia nell'arte contemporanea che in altri ambiti (39,8%). Gli intervistati vivono principalmente in grandi città e presentano un'elevata concentrazione in regioni quali Lombardia (28,75%), Lazio (12,5%), Piemonte (11%), Emilia-Romagna (9,25%), Veneto (8,5%) e Toscana (8,25%).
Quale professione
La maggior parte svolge la professione di artista (36,7%), il 14,9% lavora nell'ambito della curatela, il 10,2% in ambito accademico (docenti e ricercatori), il 10% nella produzione (producer, project manager, coordinatori), il 9,4% nella comunicazione (responsabili e addetti ufficio stampa, social media manager, graphic designer e illustratori). Mentre il 6% lavora in prevalenza come tecnici (allestitori, assistenti d'artista, artigiani per l'arte, fotografi e videomaker), il 5,7% come educatori museali o mediatori culturali, il 5,4% in ambito commerciale (assistenti di galleria, advisor), o come art writer (3,6%). Infine l'1,2% si occupa di archivi e conservazione.
Quale reddito per quante ore di lavoro
Come anticipato Il 79% degli art workers svolge più lavori, sia nell'arte contemporanea che, per un 39,8%, in altri ambiti. Di questo 39,8%, il 75,6% è costretto a farlo perché il lavoro nell'arte contemporanea non è sufficiente a mantenersi. Quasi la metà del campione ha realizzato nel 2019 – ma il dato non subisce una variazione sostanziale nel 2020 – un reddito inferiore ai 10.000 euro annui. Ricordiamo che la soglia di povertà è pari a 10.299 € annui per un individuo adulto. Il 24% dichiara un reddito tra i 10.000 e i 20.000 euro, mentre solo l'8,4% supera i 30.000 euro annui. Più fattori concorrono a spiegare i magri redditi: in particolare, la discontinuità del lavoro e i bassi compensi. Emergono inoltre due storture che in questo ambito sembrano giocare un ruolo molto rilevante: la diffusione del “lavoro gratuito” e deregolamentato e il mancato riconoscimento economico di importanti fasi dell'attività lavorativa.
Quasi il 60% degli intervistati lavora più di 40 ore settimanali, seppure per legge la durata massima settimanale dell'orario di lavoro sia di 48 ore, comprensive del lavoro straordinario. Più nel dettaglio, le risposte raccolte mostrano, infatti, che il 43,2% del campione lavora tra le 40 e le 60 ore a settimana e il 15,2% arriva anche oltre le 60 ore settimanali. Il 36,3% si attesta tra le 16 e le 40 ore, mentre solo il 5,2% non arriva a 16 ore di lavoro alla settimana. Il D. Lgs 66/2003 fissa l'orario normale di lavoro in 40 ore settimanali e stabilisce che in ogni caso non può superare le 48 ore settimanali.
Solo il 30% degli intervistati dichiara di essere retribuito per la totalità degli incarichi e solo il 34% per la maggioranza di essi, mentre il restante 36% dichiara di ricevere compensi per meno della metà degli incarichi o addirittura per nessuno. Inoltre, resta molto contenuta la forchetta dei compensi giornalieri del campione: solo l'11,8% dichiara di percepire compensi giornalieri superiori ai 100 euro, il 28% lavora per un range di 50-100 euro al giorno, mentre il 30% per meno di 50 euro giornalieri.
Modalità contrattuali e deregulation
Lo strumento fiscale più diffuso è la partita Iva (36,2%), segue il contratto dipendente per il 23,5% (15,5% a tempo indeterminato e 8,8% a tempo determinato), la prestazione occasionale/cessione diritto d'autore (19,7%), mentre il 6% del campione dichiara di non ricorrere principalmente a nessuna modalità contrattuale (lavoro nero), percentuale alla quale si aggiunge un 36,6% di lavoratori che vi ricorre come modalità secondaria.
Ad aggravare la situazione dei lavoratori dell’arte contemporanea contribuisce la diffusa deregolamentazione del lavoro nel settore, con l'assenza di vincoli contrattuali, così come il mancato riconoscimento di un salario minimo legale. Circa il 55% dei lavori svolti nel 2019 non è stato regolarizzato da contratti scritti. Inoltre, i dati evidenziano come, tra le diverse fasi del lavoro, solo la parte di esecuzione sia generalmente riconosciuta e pagata dal committente, benché le fasi di ricerca, formazione e progettazione siano altrettanto
impegnative. Solo il 20% di loro dichiara di venir retribuito per tutte le ore di lavoro necessarie allo svolgimento della professione, mentre il reddito medio annuo migliora con il corretto riconoscimento economico delle diverse fasi lavorative. Tra le principali difficoltà riscontrate da questi lavoratori della cultura nello svolgimento delle loro professioni troviamo infatti: stipulare contratti formali prima dell'inizio dell'incarico coerentemente con le mansioni svolte; ottenere un compenso congruo con il tempo dedicato, le mansioni e le competenze richieste; sopperire alla mancanza di un welfare adeguato. I professionisti che afferiscono all'ambito dell'arte contemporanea dimostrano di essere scarsamente tutelati e rappresentati, l'88% non è iscritto, infatti, a un sindacato o a un'associazione di categoria.
Un corpo intermedio necessario
Per questo AWI - ART WORKERS ITALIA, prima associazione autonoma e apartitica, è nata per dar voce ai lavoratori dell'arte contemporanea in Italia e sta lavorando per il riconoscimento di questa professione e della sua regolamentazione, per una più equa distribuzione delle risorse e per favorire l'accessibilità a fondi e opportunità. «AWI ambisce a essere un punto di riferimento per art workers, organizzazioni no-profit ed enti pubblici e privati in Italia, ponendosi come interlocutore di policy maker e istituzioni» conclude la presidente Giulia Mengozzi.
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