Aziende confiscate alle mafie, da sciogliere il nodo del rilancio
In Sicilia il primato in Italia con 1.487 imprese tolte a Cosa nostra, un terzo del totale italiano. L'attenzione degli esperti rivolta alle azioni da mettere in campo per farle stare sul mercato
di Nino Amadore
3' di lettura
C’è un primato della Sicilia che nessuno è riuscito a scalfire fin qui, nonostante l’evoluzione della criminalità organizzata anche al Nord e in particolare la Lombardia: quello dei beni e aziende sequestrate o confiscate alla mafia. Una conferma che arriva da una recente elaborazione fatta da Sicindustria su dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc): ad oggi sono 1.487 le aziende siciliane confiscate, pari al 30% del totale italiano (4.915). Percentuale che sale al 39,5% quando si parla di beni immobili (16.947 sui 42.875 di tutta Italia). Il primato siciliano si conferma anche sul fronte dei procedimenti giudiziari in gestione (1.395 sul totale nazionale di 4.734, pari al 29,5%). Chiudono il podio, con meno della metà dei procedimenti, la Campania (674) e la Lombardia (609).
Il punto, secondo il sistema imprenditoriale e non solo, resta sempre quello della prevenzione: «La sfida è quella di diffondere la cultura della prevenzione e della gestione dei rischi adottando una logica che non sia improntata all’adempimento cartaceo, ma al reale supporto del business – dice il presidente di Sicindustria Palermo Giuseppe Russello –: dalla selezione di fornitori e partner affidabili sotto il profilo economico, produttivo e reputazionale, alla scelta di collaboratori con adeguate professionalità necessarie a gestire la complessità delle attività aziendali quotidiane». Sicindustria, qualche mese fa per mano del compianto Gregory Bongiorno, ha siglato un protocollo di intesa con il Dems dell'Università di Palermo per inserire nel circuito aziendale laureandi e laureati specializzati nella gestione della compliance e dei modelli di organizzazione 231 per la prevenzione dei rischi e delle contestazioni di reato. Ma questo è solo un aspetto di tutta la vicenda perché intanto resta il nodo della gestione dei beni ma soprattutto la gestione delle aziende tolte alle varie cosche italiane. Ha pesato, spesso, sulla gestione delle aziende un approccio che potremmo definire fallimentaristico, il che non vuol dire che l’obiettivo degli amministratori giudiziari sia necessariamente quello di portare al fallimento l’azienda in gestione ma spesso è così.
Visto il numero e in qualche caso la qualità delle aziende sequestrate (catene di ristoranti, imprese della logistica, hotel e così via ma con grandi numeri di dipendenti), la necessità avvertita da tempo resta quella di una gestione manageriale e dunque affidata a soggetti che hanno una certa esperienza nella gestione di aziende da qui la proposta di utilizzare i temporary manager.
Un approccio sicuramente interessante è quello proposto (ma non è la sola) da Rosa Laplena, che da oltre vent’anni si occupa di beni sequestrati alla mafia soprattutto in Sicilia (ma con una esperienza anche in Calabria) e autrice del libro “I beni confiscati alla criminalità organizzata” (Edizioni Mediterr Italia, 122 pagine, 15 euro): «Per le aziende sequestrate è importante pensare a un vero e proprio piano industriale per garantirne la sopravvivenza ma soprattutto per garantire l’occupazione che è il grande patrimonio sociale da salvaguardare». Un lavoro che può arrivare dopo un’operazione di pulitura con l’eliminazione di aziende che esistono solo sulla carta (società cartiere o società paravento): «La maggiore partecipazione dell’Ansbc già nella fase del sequestro ha reso possibile avviare in maniera ancor più tempestiva gli interventi volti alla cancellazione delle realtà economiche improduttive e delle così dette “scatole vuote”, consentendo di rivolgere le migliori energie a quelle realtà aziendali dotate delle potenzialità per essere ricollocate sul mercato, salvaguardando i livelli occupazionali» si legge nell’ultima relazione dell’Agenzia. E la stessa Agenzia, oggi guidata dal prefetto Bruno Corda, riconosce che «La vera sfida è chiaramente quella di individuare in maniera precoce le aziende che hanno la capacitàdi restare sul mercato, salvaguardando i livelli occupazionali – si legge ancora nella relazione – . Grazie alle istruzioni, impartite nell’aprile 2020, nel corso del 2021 è stato possibile assistere ad un significativo incremento nella presentazione e approvazione dei bilanci delle aziende in gestione, acquisendo anche una maggiore conoscenza delle principali grandezze economiche e finanziarie aziendali». Un lavoro che ha consentito l'approvazione dei bilanci di oltre 300 società di capitali, che su un totale di circa 2.000 “aziende” in gestione costituisce il 15 per cento. Ma, dice Rosa Laplena, «una riflessione di natura legislativa va dedicata a una possibile revisione del Decreto legislativo 270/99, meglio conosciuto come Prodi bis, riguardo le misure che possono essere utilizzate per mantenere produttive le aziende confiscate prima del decreto di destinazione». La proposta, spiega Laplena, è di «esplorare la possibilità di prevedere una norma che estenda alle aziende confiscate il decreto 270/99, superando il limite attuale dei 200 dipendenti e l’estensione della durata dei commissari dai 18 mesi attuali ai 36 mesi. Questo permetterebbe di sperimentare l’applicazione dei piani industriali in regime di tranquillità e faciliterebbe l’iter del riassetto organizzativo industriale interno, anche di fronte alle difficoltà di accesso al credito».
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