Azimut diversifica il business e scommette sugli Stati Uniti
L’obiettivo è raggiungere il 35% di masse all’estero sul totale degli asset. Focus sugli investimenti alternativi. Il rischio legato ai Paesi emergenti: per il gruppo i dati storici dimostrano la capacità di affrontare le crisi
di Vittorio Carlini
6' di lettura
Proseguire nella strategia di crescita all’estero, in particolare attraverso le acquisizioni. Poi: diversificare il business anche, e soprattutto, per trovare rendimenti interessanti nell’era dei tassi sotto-zero. Sono tra le principali strategie di Azimut a sostegno della sua attività. Il primo semestre 2019 si è contraddistinto per fatturato e redditività in rialzo. I ricavi consolidati si sono assestati a 486 milioni con un incremento del 29% rispetto allo stesso periodo del 2018. L’utile netto, dal canto suo, è salito a 171 milioni. Insomma: i principali dati descrivono un conto economico in aumento.
La crescita internazionale
Di là dai numeri il risparmiatore è, però, interessato allo sviluppo aziendale. Un focus è l’espansione all’estero. Al 30 giugno scorso le masse oltreconfine valevano intorno al 29% del totale. L’obiettivo, al 2024, è arrivare a circa il 35% degli asset al di fuori dell’Italia. La strategia, in generale, è avere nei mercati in cui la società è attiva sia l’attività di gestione che quella di distribuzione. Ciò detto il gruppo, di cui la “Lettera al risparmiatore” ha incontrato i vertici, è concentrato, da un lato, sull’espansione nei Paesi dove è già presente; e, dall’altro, punta sull’ingresso in nuovi Stati.
Proprio rispetto a quest’ultimo fronte Azimut, dopo essere sbarcata in Egitto nel gennaio scorso con l’acquisizione del 100% di Rasmala Egypt, guarda agli Stati Uniti (una seconda opzione, più lontana e difficile, è il Giappone). La società in America è autorizzata alla distribuzione di prodotti finanziari. L’operatività, tuttavia, è molto limitata e concentrata su clienti non statunitensi. Adesso, invece, si cerca il salto di qualità. Tanto che sarebbe al vaglio l’ipotesi di cercare una partnership con una realtà locale nell’asset management. Ma non è soltanto questione di nuovi Paesi. Azimut vuole continuare ad acquisire quote di mercato e masse dove è già presente: dal Messico alla Cina fino al Brasile e all’Australia. Ciò detto il gruppo, proprio rispetto al Sudamerica e all’Australia, prospetta maggiori sforzi e potenzialità d’espansione.
Guardando al futuro tuttavia non mancano i fattori di rischio da tenere in considerazione. La presenza in aree soggette a crisi può creare dei problemi. È il caso, ad esempio, di Hong Kong dove la situazione politica resta altamente incerta. Certo la situazione, sotto il profilo degli scontri in piazza, sembra migliorare. Inoltre l’offerta sulla City di Londra testimonia una certa “forza” e vitalità finanziaria dell’ex colonia britannica. Ciò detto, però, non può negarsi che i recenti scontri inducono ad ipotizzare impatti sullo sviluppo degli istituti finanziari presenti in loco. Compresa Azimut. Il gruppo, auspicando la pacifica soluzione dei problemi, rigetta i timori. Dapprima perchè, ricorda, il peso di Hong Kong sul suo business è limitato: meno del 5% delle messe totali. Inoltre perchè, afferma sempre Azimut, la struttura operativa delle sue società fa sì che un’eventuale deflusso finanziario dall’ex colonia britannica possa essere facilmente indirizzato sull’altra realtà del gruppo con sede a Singapore. Quindi, conclude Azimut, il gruppo ha i mezzi per affrontare la situazione. Ciò detto però, più in generale, può ulteriormente obiettarsi che l’articolazione estera di Azimut è anche su mercati a maggiore rischio geopolitico e finanziario. Una situazione che, seppure la società abbia sempre considerato gli “emerging” un’opportunità per la crescita, induce nel risparmiatore la sensazione di un gruppo esposto a maggiori rischi rispetto ai concorrenti italiani.
Azimut, nuovamente, non condivide il dubbio. Il modello di business è, viene spiegato, solido in quanto basato sull’indipendenza delle società operative e sul loro forte legame con la clientela. Una duplice caratteristica che, unita alla presenza dell’asset management in loco, consente di gestire al meglio le situazioni critiche. Oltre a ciò la società sottolinea che il suo track record dimostra come il gruppo abbia la capacità di affrontare le varie crisi finanziarie dei Paesi in cui opera. Infine la società ricorda che i mercati sono cambiati: la rischiosità dell’investimento non è più definita da tradizionali divisioni quali quella, ad esempio, tra aree maggiormente industrializzate e in via di sviluppo. In tal senso, conclude Azimut, basta rammentare la crisi del debito sovrano in Europa.
Investimenti alternativi
Fin qui alcune considerazioni sull’internazionalizzazione del gruppo. Altro focus, però è la diversificazione delle sue attività. La società attualmente divide i total asset per linee di business nel seguente modo: il 69% è appannaggio delle attività tradizionali/mercati sviluppati; il 30% è riconducibile al mondo internazionale/mercati in via di sviluppo e solamente l’1% è legato al private market (realtà non quotate) e agli investimenti alternativi. Ebbene tra gli obiettivi c’è proprio quello di aumentare il peso di quest’ultima linea di business. Gli Asset Under Management (AuM) appannaggio del private market/investimenti alternativi sono stimati nel 2020 a 1,5 miliardi. La previsione è che arrivino a rappresentare il 15% del totale degli asset nel 2024.
A fronte di ciò Azimut, tramite la sua Sgr specializzata nella creazione di fondi alternativi (dal private debt al venture capital fino private equity) punta ad ampliare il portafoglio di prodotti. Si tratta di “funds” che, da una parte, consentono alle Pmi italiane di avere nuovi flussi d’investimento; e dall’altra permettono ai clienti, diversificando il rischio, d’investire in nuove asset class con maggiori rendimenti. In tal senso può ricordarsi, tra gli altri, il fondo Antares AZ 1 che ha raccolto 200 milioni ed opera su strumenti di debito delle piccole e medie aziende. Oppure il fondo Corporate cash 1, con una dotazione di 50 milioni, attivo sui debiti (sempre delle Pmi) ma garantite da Confidi. Insomma: le soluzioni sono molteplici. Sennonché alcuni esperti sottolineano che la concorrenza può essere d’ostacolo nel raggiungere gli obiettivi indicati.
Azimut fa professione d’ottimismo. In Italia ci sono circa 150.000 medie e piccole imprese. Realtà che nonostante i tassi a zero, viene spiegato, spesso non riescono a ricevere finanziamenti dagli istituti di credito tradizionali. Questi infatti, tenuti ad adeguarsi alle stringenti normative di controllo, effettuano una forte selezione dei loro potenziali debitori. Non solo. Azimut ricorda che i soggetti esteri, anche di private equity, non sono così focalizzati sui target cui lei guarda. Quindi, conclude il gruppo, c’è spazio per crescere
Dagli investimenti alternativi al business tradizionale. Quest’ultimo rimane essenziale per Azimut. Qui tra le priorità c’ è l’efficientamento e semplificazione dell’offerta. La proposta di fondi comuni, ad esempio, attualmente è di oltre un centinaio. La volontà è razionalizzarli (riducendone il numero) per, poi, introdurre nuove soluzioni più sofisticate ed efficienti.
Lo sforzo sull’efficientamento, a ben vedere, è trasversale un po’ a tutta la società. Tanto che Azimut, anche per raggiungere più flessibilità ed efficacia operativa, prosegue gli investimenti sull’innovazione tecnologica. L’intervento dapprima è stato (e sarà) sul fronte del rapporto tra il consulente finanziario e il cliente (ad oggi circa il 30% delle operazione realizzate da quest’ultimo avvengono via digitale). Gli sforzi, poi, sono focalizzati nel back office al fine di aumentare l’automazione dei processi. Il tutto, tra le altre cose, per ridurre i costi e migliorare la gestione aziendale.
La governance
Già, la gestione aziendale. Rispetto a questo tema la nuova governance prevede 5 amministratori delegati (di cui uno anche direttore generale). Alcuni esperti sottolineano che una simile situazione può rendere eccessivamente articolata e difficile l’amministrazione dell’azienda, rischiando in prospettiva di impattare sui risultati del gruppo. Azimut rigetta il dubbio. In primis, viene spiegato, è da molto tempo che l’operatività è gestita in questo modo. La nuova governance ha solo formalizzato l’esistente. Inoltre, dice sempre il gruppo, i numeri, come risulta dal primo semestre dell’anno, mostrano che l’amministrazione è efficiente. Infine Azimut ricorda che il suo business è complesso ed articolato. In tal senso la distribuzione, ed articolazione, di deleghe chiare e precise tra i vari amministratori delegati consente di avere una più efficace gestione. Di là da simili considerazioni, tuttavia, nel momento in cui ci fosse un contrasto su un’attività strategica potrebbe crearsi l’impasse. Azimut nega l’ipotesi. La società, sottolineato che la positiva dialettica interna difficilmente potrà sfociare in un contrasto non componibile, spiega che la governace attribuisce comunque ad uno degli amministratori delegati il potere di effettuare la sintesi delle posizioni.
A fronte di un simile contesto quali le prospettive sul 2019? Azimut conferma l’obiettivo di un utile netto di almeno 300 milioni.
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