Azioni Usa? Per i prossimi 20 anni addio ai super rendimenti del passato
di Andrea Gennai
2' di lettura
Fare previsioni a lunghissimo raggio è sempre un azzardo. Ma se è pronunciarsi è un guru di Wall Street, che ha previsto i crolli del 2000 e e del 2008, allora qualche minuto di attenzione si può anche prestare. Nei giorni scorsi Jeremy Grantham, fondatore di Gmo e uno dei più accreditati gestori “value”, ha rilasciato un’intervista a Cnbc in cui ha parlato di prospettive sicuramente positive per Wall Street, ma meno generose del passato. Secondo Grantham il futuro è nei paesi Emergenti.
Quali scenari
«Negli ultimi 100 anni le azioni Usa hanno avuto un ritorno medio annuo di circa il 6% ma per i prossimi 20 anni c’è da attendersi un 2-3% in termini reali». Addirittura negli ultimi 5 anni il ritorno composto dell’indice S&P 500 è stato di poco superiore all’8% annuo. Lo scenario delineato dal fondatore di Gmo in una delle rare interviste concesse è improntato alla prudenza per gli Usa, anche se le azioni resteranno competitive a fronte dei TNote decennale che oggi rende meno del 3%. Sicuramente più alletante è lo scenario ipotizzato per gli Emergenti dove i rendimenti potrebbe «essere superiore al 6% o addirittura all’8% se orientati verso il “value”». Grantham dichiara che preferisce star fuori dal mercato Usa, ma non prevede una fine del “bull market” in maniera violenta. Sarà diversa rispetto alle altre volte con il ripetersi di costanti saliscendi.
Le valutazioni
Le previsioni si basano su assunti fondamentali. In particolare viene tirato il ballo il Cape Shiller, ovvero il rapporto prezzo utili degli ultimi 10 anni corretto per il ciclo economico. Si tratta quindi di uno strumento “smussato” che cerca di andare oltre le letture congiunturali. Questo indicatore si attesta oltre quota 30 punti rispetto a una media storica di 16,6. Ogni volta che in passato l’indicatore ha superato quota 30 nel decennio successivo i rendimenti delle azioni sono stati compressi perché arrivavano da valutazioni molto tirate. Questo è accaduto nel 2000 mentre nel 2007 quota 30 non fu superata. In termini di valutazioni , secondo il Cape Shiller, oggi la Borsa Usa si trova al secondo livello più caro dell’ultimo secolo.
Lo stesso Robert Shiller, l’economista che ha dato il nome all’indicatore in questione, nell’ottobre scorso aveva lanciato l'allarme sulla sopravvalutazione del mercato Usa paragonando la situazione attuale a quella del 1929. La parte finale del 2018 ha lasciato spazio ha una pesante correzione che ha sfiorato il 20% sull’S&P 500, ma da inizio anno i compratori sono tornati protagonisti rassicurati anche da atteggiamento molto accomodante da parte delle banche centrali e soprattutto della Fed. Il fattore “banche centrali” è quello che ha permesso a Wall Street un rally decennale (partito proprio nel marzo del 2009), tra i più lunghi della storia e tutt’ora in corsa. Vedremo nei prossimi mesi se l’avvertimento sulla sopravvalutazione degli asset avrà la meglio o se la Fed (e i dati economici Usa) riusciranno ancora a trasmettere ottimismo agli investitori.
loading...