Baia sommersa un modello per il patrimonio e la gestione
di Vera Viola
2' di lettura
Baia Sommersa diventa modello di gestione e di fruizione. Tanto che, nell’ambito del progetto di “Itinerario culturale del patrimonio subacqueo del Mediterraneo”, è considerata capofila.
«Si tratta di uno dei 25 siti del Parco archeologico dei campi Flegrei, potrei dire il più importante del Mediterraneo – spiega il direttore Fabio Pagano del Villano – Qui, particolari condizioni geologiche hanno fatto sì che ben 300 metri di costa dell’antica Baia, meta delle elite romane, quello che Orazio definisce il luogo più ameno al mondo, siano finite sotto il mare».
Fino a qualche anno fa questo patrimonio era alla portata esclusivamente di studiosi o visitatori capaci di immergersi con attrezzatura da sub. Negli ultimi anni, prima del Covid, grazie a un lavoro importante di tutela e alla organizzazione di escursioni anche senza immersione, il numero dei visitatori è cresciuto fino a 16mila nel 2019. Il Covid ha fermato i musei e il turismo. «Ma nel 2021 – precisa Pagano – l’affluenza è di nuovo in crescita. Anche grazie alla nostra scelta di aprire nuovi percorsi».
Il parco sommerso di Baia, definito anche “Pompei sommersa” poichè la sua pianta ricorda quella della città romana, è allo stesso tempo un’area marina e archeologica protetta, localizzata a ovest di Napoli. Un porto, le ville, le statue, i mosaici: parliamo di uno specchio d’acqua con una concentrazione di archeologia come in pochi altri luoghi nel mondo. Il portus Julius venne costruito nel 37 a.c., mentre la Villa dei Pisoni risale al 1° secolo d.c.. Solo intorno al 1920 nel corso di lavori per dragare il porto di Baia, vennero alla luce brandelli di statue, pezzi di pavimenti a mosaico.
«Abbiamo in primo luogo dedicato molto impegno nella tutela – aggiunge il direttore del Parco Archeologico dei Campi Flegrei – sia la tutela del mare che quella del patrimonio archeologico. Abbiamo investito nei restauri sott’acqua e in ricerca e innovazione. Abbiamo anche potuto contare su una proficua collaborazione tra pubblico e privato». Pagano quando parla di privato fa riferimento a una decina di imprese la maggior parte delle quali autorizzate ad accompagnare i visitatori. C’è chi organizza visite con un battello dal fondo trasparente, chi organizza i sub, è possibile anche fare visite spostandosi in canoa. Queste piccole imprese di fatto offrono servizi a pagamento e si impegnano a versare una quota delle proprie entrate nelle casse del Parco Archeologico.
Il Parco non trascura la ricerca. «Abbiamo al nostro interno tre ricercatori – aggiunge Pagano – dedicati a tempo pieno allo studio sia dei resti venuti alla luce sia a quelli da scavare. Poi facciamo ricerca in collaborazione con l’Istituto centrale per il restauro, con il Cnr, con la Stazione zoologica Anton Dhorn». La dotazione di ricercatori è sufficiente? Pagano lo dice chiaramente: «Ce ne vorrebbe almeno il doppio» . L’esperienza di Baia diventa capofila del progetto allo studio del nuovo itinerario culturale subacquea. «Questo progetto mette al centro le nostre attività collocandole in una rete internazionale – conclude il direttore – Ci confronteremo con Turchia, Israele, Francia. Tutto ciò servirà anche a promuovere sviluppo turistico e opportunità economiche».
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