Balenciaga sfila alla Borsa di New York: «I soldi feticcio assoluto»
Primo show lontano da Parigi in quasi due decenni. In passerella truppe incappucciate che raccontano come la moda può riscrivere o annullare l’identità del singolo.
di Angelo Flaccavento
I punti chiave
- Il marchio Balenciaga ha sfilato alla New York Stock Exchange
- Sfilata tripartita: collezione Garde Robe, abiti da sera e collaborazione con Adidas
- Excursus tra demografie di clienti ampio e ben studiato
2' di lettura
NYSE, la Borsa Valori di New York City: un luogo che come pochi rappresenta la voracità, l’avidità, l'ossessione plutocratica del mondo contemporaneo, ma anche la velocità, l’energia e l’aggressività della Grande Mela. Un posto simbolico, iscritto in modo permanente nell'immaginario collettivo, visto in mille film, spettacolarizzato dalla fantaeconomia splatter di infiniti telegiornali. In queste settimane è ricominciato il tam tam di una impellente recessione, con tutte le paure del caso. Adesso, il piano contrattazioni, quello delle urla feroci e degli schermi lampeggianti, diventa a sorpresa l’inedito teatro di un fashion show, annunciato da un invito in forma di mazzetta di dollari - finti, naturalmente.
A Balenciaga e all’inesorabile Demna, immaginifico mastermind e artefice di trascinanti successi, il primato. Con un frisson, naturalmente: l’immaginario qui è cupo, angoloso, abrasivo, un po’ come questi anni plumbei e spendaccioni. È domenica mattina; la Borsa è inattiva, gli schermi sono fissi sulle chiusure del venerdì. Gli ospiti siedono su alti sgabelli. L’atmosfera è elettrica, carica di attesa: questo è il primo show in quasi due decenni che Balenciaga organizza fuori da Parigi. La stagione è la primavera 2023.
Al primo, pesantissimo beat della colonna sonora techno dopo la campanella di inizio sessione, è chiaro che siamo in un territorio di commentario distopico al presente e alla cultura che lo domina. Cappucci di lattice dal sapore fetish cancellano in modo disturbante l’identità dei modelli, quasi a sottolineare con sarcasmo la capacità della moda di riscrivere, o annullare, l’individualità del singolo, ma anche la crudeltà di una città come New York, dove il più delle volte si è nessuno. Il ritmo della sfilata è inesorabile, marziale: anche quando, per un breve interludio, i battiti industriali lasciano il passo alle note di «New York, New York», la truppa incappucciata attraversa la passerella con falcate decise - come ovunque sui marciapiedi della Big Apple.
La collezione è un movimento tripartito: apre il tailoring elevato e ruvidamente elegante della nuova linea Garde Robe, segue lo sbrilluccichio body conscious dei capi da sera, chiudono i colori saturi - accompagnati da cappucci di lattice in tinta, con molti ricordi del miglior Walter Van Beirendonck - della collaborazione con Adidas. Dappertutto, scarpe massimizzate, come sotto steroidi.
L’excursus tra demografie di clienti è ampio e ben studiato - non si tralascia nessuna fascia di età - perché è chiaro che Demna i vestiti li vuole anche vendere, e lo fa a meraviglia, trascinando l'intero sistema con i suoi volumi e le sue durezze. «La moda deve creare desiderio, e per farlo deve suscitare emozioni» dice nel backstage, anche lui incappucciato. La sfilata in questo senso centra il bersaglio. Il sottotono feticistico, poi, è terrificante quanto tempestivo «Gli abiti sono un feticcio, ma i soldi sono il feticcio assoluto» aggiunge. Una prova che brucia per urgenza e precisione, fatta di abiti che urgono essere indossati. Altro che storytelling, altro che pallidi concetti.
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