Balneari, la mappa del governo è l’ultima puntata di una lunga contesa
La vicenda delle concessioni balneari è al crocevia. Il governo chiederà alla Commissione europea di mettere a gara solo il 67% concedibile
di Carmine Fotina
I punti chiave
4' di lettura
La contesa sulle gare per le concessioni balneari è giunta a un crocevia. Il governo, sulla base di una ricognizione relativa alle spiagge libere teoricamente concedibili, intende negoziare con la Commissione Ue solo la messa a gara di quest’ultime. La relazione di otto pagine ultimata il 6 ottobre dal tavolo tecnico di Palazzo Chigi, e visionata dal Sole-24 Ore, indica che il 33% della costa esaminata è in concessione o oggetto di istanza e che il 67% è concedibile. Ma i criteri con cui è stata determinata questa conclusione – che, cioè, non c’è “scarsità di risorsa naturale” – sono estremamente controversi.
Si tratta solo dell’ultima puntata di una delle vicende italiane più lunghe e complesse in materia di liberalizzazione delle attività economiche. Ogni tappa è bene illustrata dalla Relazione.
Il rinnovo automatico nel Codice della navigazione del 1942
Partiamo dai precedenti storici. La disciplina italiana delle concessioni demaniali trae origine dal regio decreto 327 del 1942, il Codice della navigazione. Siamo in era fascista e il provvedimento riconosce una preferenza in favore del precedente concessionario nell’ipotesi che le concessioni siano inferiori al biennio e non ci siano impianti di difficile rimozione. Nella prassi, questo si è tradotto nel riconoscimento di un rinnovo automatico delle concessioni al momento della loro scadenza.
L’obbligo di gara con la direttiva Bolkestein
La svolta arriva con la direttiva europea Bolkestein sui servizi del 2006, che sarà recepita in Italia nel 2010. L’articolo 12 della direttiva stabilisce che, laddove il numero delle concessioni sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, il rilascio deve avvenire tramite gara, per una durata limitata, senza rinnovo automatico e senza preferenze per il precedente concessionario; con la possibilità di parziali deroghe rispetto ai predetti principi solo in particolari settori e per particolari esigenze di interesse pubblico.
Mappature inattendibili e le proroghe continue
Il problema pratico di lì agli anni seguenti è stata la costante assenza di una mappatura delle aree demaniali attendibile, sulla quale valutare la sussistenza dei requisiti previsti dalla Bolkestein e a cascata dalla normativa italiana. Di qui un caos interpretativo e applicativo senza precedenti.
Sono scattate le varie proroghe: prima con il decreto legge 194 del 2009 e con il Dl 179 del 2012 (governo Berlusconi IV) fino al dicembre 2020; poi con la legge 145 del 2018 e il decreto 34 del 2020 (governi Conte I Conte I) fino al 31 dicembre 2033. L’ultimissima è firmata dal governo Meloni: con il decreto 198 del 2002 fino al 31 dicembre 2024 o anche fino al 31 dicembre 2025 in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione delle gare.
Il complicato riparto delle competenze
La competenza in ordine alla gestione del demanio marittimo rientra nell’ambito della legislazione concorrente fra Stato e regioni. Le norme di dettaglio, attuative dei principi definiti a livello statale, sono rimesse alle regioni. Inoltre, in virtù di ulteriori norme, il rilascio delle concessioni demaniali marittime è stato demandato espressamente agli enti locali.
Le regioni hanno approvato discipline settoriali, generalmente demandando ai comuni l’approvazione di strumenti pianificatori. Sono però proprio le singole discipline regionali a stabilire il limite percentuale di occupabilità delle spiagge. Solo in Friuli-Venezia Giulia e Toscana il limite è stabilito, di fatto, direttamente dai comuni. Ma, nonostante questo, il dato regionale relativo alla percentuale minima di spiaggia libera non è stato tenuto in considerazione dal Tavolo di Palazzo Chigi nella quantificazione della costa concedibile
La discrasia con i dati regionali
I limiti previsti dalle regioni si riferiscono solo ai tratti sabbiosi. Il tavolo tecnico di Palazzo Chigi ha invece effettuato la ricognizione includendo i tratti rocciosi e, oltretutto, senza distinzione tra costa alta costa bassa. A questo si aggiunge che la ricognizione che ha condotto al dato 67-33 ha sì escluso tratti tecnicamente non concedibili (aviosuperfici, porti, aree industriali, aree naturali protette) ma ha incluso nel computo anche le aree di costa a minore accessibilità, ad esempio prive di strade di collegamento, ritenendo che potrebbero essere oggetto di successiva riqualificazione.
Per completezza, va sottolineato che la ricognizione ha riguardato solo le concessioni marittime e non anche laghi e fiumi e che è stata effettuata senza utilizzare lo strumento espressamente previsto dalla legge concorrenza del 2022, cioè il Siconbep, il nuovo sistema informativo per la mappatura delle concessioni di beni pubblici, ma ricorrendo alla vecchia piattaforma Sid (sistema informativo del demanio marittimo) detenuta dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.
Le procedure di infrazione europea
La Commissione europea ha aperto una prima procedura di infrazione, con lettera di messa in mora del 2 febbraio 2009 e successiva lettera complementare del 5 maggio 2010, poi sanata con la legge 217 del 2011. Ma una seconda procedura di infrazione è stata avviata con lettera di messa in mora del 3 dicembre 2020, è ancora aperta e, se il governo non convincerà Bruxelles con i dati del Tavolo, si entrerà probabilmente nella fase del parere motivato.
Le sentenze dalla Corte di Giustizia Ue al Consiglio di Stato
La Corte di Giustizia Ue, con la decisione “Promoimpresa” del 14 luglio 2016, ha bocciato le proroghe nei limiti in cui le concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo.
Il Consiglio di Stato, con le decisioni in Adunanza plenaria del 9 novembre 2021, ha annullato la proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2033, ammettendone la validità solo fino al 31 dicembre 2023, e specificando che qualsiasi eventuale ulteriore proroga automatica oltre quella data sarebbe stata immediatamente disapplicabile. Ciò nonostante, a febbraio, il governo ha approvato una proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2024 o fino a tutto il 2025 in caso di impedimenti oggettivi alle gare.
La Corte di giustizia Ue è intervenuta con una nuova pronuncia il 20 aprile 2023, riaffermando che giudici nazionali e autorità amministrative, compresi i Comuni, devono disapplicare disposizioni contrarie all’obbligo di gara. Tuttavia, la Corte ha affermato che gli Stati membri hanno piena discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili per la quantificazione della scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili.
Il dato nazionale
Il governo ha colto l’assist e nella Relazione ha sottolineato che la stima è stata effettuata sulla base del dato nazionale secondo un approccio “generale e astratto”, non quindi valutando la situazione dei singoli Comuni. E aggiungendo che solo successivamente potrebbero essere rivalutate specifiche situazioni territoriali. Bisognerà vedere ora se questa linea convincerà i funzionari di Bruxelles.
loading...