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Banche centrali, non solo Lagarde: è il momento dei giuristi

di Riccardo Sorrentino

5' di lettura

Il primo è stato Haruhiko Kuroda, nel 2013. Poi è arrivato Jerome Powell nel 2018. Ora è Christine Lagarde a aggiungersi al numero dei grandi banchieri centrali con una formazione prevalentemente giuridica. Una scelta sorprendente, in un momento in cui il ciclo economico ha cambiato natura - come mostra la forte resistenza dell’inflazione a tornare verso il livello ottimale del 2% - e la politica monetaria è diventata strettamente dipendente dalla ricerca, teorica e empirica.

2013, Kuroda e l’Abenomics
La tendenza è abbastanza chiara. Kuroda ha studiato diritto e ha acquisito la licenza per la professione di avvocato anche se è subito diventato un dirigente del ministero delle Finanze fino a ricoprire il ruolo di viceministro per gli Affari internazionali. Durante la lunga carriera ministeriale, ha avuto l’occasione di seguire un master in Economia a Oxford, ma la sua attenzione era rivolta soprattutto alle questioni fiscali. Ha lentamente costruito attorno a sé l’immagine di un avversario di Masaaki Shirakawa, piuttosto rigoroso, e ha auspicato una politica ultraespansiva. È così diventato il candidato ideale di Shinzo Abe, che voleva varare un forte, e a oggi incompleto, piano di rilancio dell’economia (l’Abenomics).

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2017, Trump e Jerome Powell
Jerome Powell ha studiato Politics a Princeton, e ha poi seguito la Law School a Georgetown. Dopo una carriera nel settore finanziario, è diventato sottosegretario al Tesoro per gli Affari domestici con George H. W. Bush. Nel 2012, sotto la presidenza di Barack Obama, è entrato nel board dei governatori della Federal reserve, dove si è occupato soprattutto - e ovviamente - della regolamentazione del settore bancario e finanziario. È stato scelto come presidente nel 2017 da Donald Trump, subito entrato in lotta di collisione con la Fed di Janet Yellen, a suo avviso troppo rigorosa. I desideri del presidente Usa, però, si sono rivelati eccessivi anche per Powell, oggi caduto un po’ in disgrazia.

2019, Lagarde e Macron
Christine Lagarde ha studiato a Aix-en-Provence (scienze politiche) e poi ha ottenuto diplomi universitari in inglese e diritto e un master in diritto sociale (lavoro e previdenza) a Paris X Nanterre. Ha lavorato a lungo nella filiale francese della Baker & McKenzie, dove percorre l’intera carriera come avvocato d’affari. Durante la presidenza di Jacques Chirac diventa ministro delegato per il Commercio estero, poi durante il settennato di Nicolas Sarkozy è ministro per l’Agricoltura e la Pesca e infine ministro dell’Economia. Da questa carica passa nel 2011 al Fondo monetario internazionale di cui assume il ruolo di direttore generale dopo le dimissioni di Dominique Strauss-Kahn, accusato di aggressioni sessuali e in questo ruolo gestisce i salvataggi legati alla crisi fiscale europea. Oggi, candidata della Francia di Emmanuel Macron, è destinata a succedere a Mario Draghi alla guida della Bce.

Gli economisti alla Fed...
A novembre, dunque, la guida delle banche centrali assumerà un volto del tutto nuovo. Il cinese Yi Gang e Mark Carney, governatore della Bank of England (il cui mandato scadrà a gennaio 2020), saranno gli unici economisti a guidare una grande banca centrale. È stata probabilmente la nomina di Powell a segnare lo spartiacque: prima di lui, e dal 1987, ogni presidente della Fed aveva conseguito un PhD in Economia ed era quindi in grado di leggere e valutare attentamente - perché a sua volta le aveva svolte - ricerche economiche. Ben Bernanke, in particolare, era esperto di politica monetaria, e il suo relatore, Stanley Fischer era vicepresidente con Janet Yellen; e così Alan Greenspan. Paul Volcker, presidente dal ’79 all’87, non aveva formalmente un PhD ma aveva persino lavorato come assistente ricercatore alla Fed; mentre era un economista anche Arthur Burns, presidente dal’70 al ’78.

...e in Europa
Alla Banca centrale europea ha un PhD, conseguito all’MIT, Mario Draghi che è stato anche docente, in Italia e negli Stati Uniti, e il primo presidente, Wim Duisenberg. Non era però un economista nel senso pieno della parola Jean-Claude Trichet, ingegnere con un diploma universitario in economia e diversi diplomi nelle alte scuole francesi. Allargando lo sguardo alle banche centrali nazionali europee, sono economisti (con PhD) Ignazio Visco, Jens Weidmann (specializzato in economia monetaria), lo spagnolo Pablo Hernández de Cos (che ha anche una formazione giuridica) ma non - di nuovo - il francese François Villeroy de Galhau, ingegnere.

Il caso giapponese
In Giappone, Kuroda è stato preceduto da Masaaki Shirakawa, che non ha formalmente un PhD ma è stato un attivo ricercatore (oltre che docente) nel campo della politica monetaria e ha cercato di trasferire in Giappone un approccio più ampio, ed esteso alla stabilità finanziaria, del central banking. Così Toshihiko Fukui predecessore di Shirakawa.

India e Turchia, due episodi emblematici
Se si allarga un po’ l’orizzonte, si può notare che la tendenza a sostituire economisti con persone, in genere politici, di diversa formazione accademica è ampia. La Reserve Bank of India, dopo essere stata guidata da Y. Venugopal Reddy, Duvvuri Subbarao, Raghuram Rajan, ex capo economista del Fondo monetario internazionale e da Urjit Patel, è stata affidata a dicembre a Shaktikanta Das, laureato in Storia. La Banca centrale turca, dopo Erdem Başçı (ma anche Durmuş Yılmaz, prima di lui, aveva comunque una formazione economica) è guidata dall’aprile 2016 da Murat Çetinkaya, laureato in Relazioni internazionali.

Il peso dei governi
Sono chiare, da questo elenco, i motivi di questa tendenza. Se il caso dei banchieri centrali francesi sembra molto legato a una idea molto peculiare e più flessibile della funzione delle competenze, Turchia, India, Stati Uniti, Giappone, sono paesi i cui governi sostengono la necessità di una politica monetaria molto espansiva, troppo espansiva perché un economista potesse accettarla. Il discredito nella quale è ingiustamente caduta la professione e la stessa sceinza economica ha evitato che quelle nomine apparissero scandalose.

L’eccezione argentina
Avere un banchiere centrale con un PhD non è una garanzia. Con la sola eccezione di Juan Carlos Fábrega, governatore dal 2013 al 2014, la Banca centrale dell’Argentina è guidata negli ultimi anni da economisti “certificati” ma questo non ha impedito al paese di subire una feroce inflazione che ha eroso i salari reali. Non è certo la certificazione in sé (il “foglio di carta”, si sarebbe detto un tempo) a fare un perfetto candidato per la guida di una banca centrale, che resta un organo tecnico-politico.

Scienza, regole e discrezionalità
Il ruolo della ricerca teorica, dell’analisi econometrica, della valutazione dei diversi modelli usati per elaborare le proiezioni, sono però diventati troppo importanti per affidarla a chi non sappia almeno leggerle. Né si può dire - e gli esempi di Bernanke e Draghi, banchieri centrali innovatori e “creativi” come pochi, lo mostrano - che un governatore dal background accademico sia legato a schemi teorici troppo rigidi e non siano in grado di dare flessibilità alla politica monetaria; la quale, però, funziona bene quando si segue una regola, e la discrezionalità è strettamente funzionale al raggiungimento degli obiettivi.

I limiti di Powell e l’esperimento Lagarde
Jerome Powell, molto amato in questa fase dai mercati finanziari per il suo orientamente accomodante, ha in realtà suscitato molte critiche tra gli economisti e i FedWatcher, che hanno perso ogni punto di riferimento. La Fed, il cui compito è quello di plasmare e ancorare le aspettative di inflazione, sembra aver seminato incertezza. Le sue risposte in conferenza stampa sembrano a volte poco adeguate al ruolo che ricopre. Tra breve, toccherà alla Bce fare l’esperienza di un giurista alla sua guida. In questo senso, la designazione di Christine Lagarde può diventare un banco di prova: meglio il metodo francese di selezione della leadership, più flessibile, o quello per così dire rigoroso degli ultimi decenni? E ancora: le economie sono davvero diventate così complesse da imporre una divisione dei compiti inesorabile: ai politici, ben consigliati, la determinazione degli obiettivi, e agli esperti, e solo a loro, la fase tecnico-politica del loro perseguimento?

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