Banche centrali tra stabilità finanziaria e azzardo morale
La posta in gioco è troppo alta. A rischio la reputazione e la fiducia accordata fino adesso dal sistema a livello globale
di Gianfranco Ursino
2' di lettura
Gli ultimi interventi delle banche centrali, negli Stati Uniti e in Svizzera, per assorbire gli shock della Silicon Valley Bank e di Credit Suisse, hanno riportato in auge l’annoso tema dell’azzardo morale. Il messaggio che ancora una volta è passato è che qualsiasi cosa succeda c’è la mano pubblica pronta ad intervenire, incentivando così i banchieri a comportarsi in futuro in modo ancora più avventato, con un’assunzione di rischio a livello economico e sociale non accettabile.
Dall’altra parte, però, come insegna il caso Lehman Brothers, le banche centrali si trovano tra l’incudine e il martello con la necessità di garantire la stabilità finanziaria. Non è pensabile un’altra crisi del sistema economico-finanziario come quella del 2008. C’è quindi il pericolo di istituzionalizzare il rischio morale, il cosiddetto moral hazard.
La posta in gioco è troppo alta. Le banche centrali sono senza dubbio l’attore più importante e potente del sistema economico. Ma la loro forza è direttamente correlata alla reputazione e alla capacità di evitare l’unica cosa che devono temere: la perdita di fiducia accordata fino adesso dal sistema a livello globale. Una crisi di fiducia porrebbe a rischio la stessa stabilità finanziaria. E sempre a proposito di fiducia, non bisogna dimenticare anche la responsabilità di quei banchieri che, pur avendo portato al fallimento blasonate istituzioni bancarie, come “punizione” hanno percepito liquidazioni milionarie, oggi siedono in aule universitarie, presiedono società di consulenza e, tra un impegno e l’altro, giocano a golf.
La qualità delle azioni future delle banche centrali dipenderà dalla loro capacità di manovrare il sistema finanziario, evitando di correre il rischio di restare paralizzate e non poter sfruttare le potenzialità degli strumenti che hanno a disposizione per rispondere alle sfide sempre più ardue che devono affrontare. Ecco perché non devono correre il rischio di eccedere con l’azzardo morale e violare a più riprese le regole del libero mercato.
Gli istituti di credito su cui vigilano sono, per definizione, istituzioni illiquide: hanno passività a breve termine (i depositi) e attività a lungo termine (i crediti). Per limitare il rischio della corsa agli sportelli sono state create garanzie pubbliche sui depositi. Prima della loro istituzione, era frequente che una crisi di liquidità di una singola banca si trasformasse in una crisi finanziaria di vaste proporzioni. L’esperienza storica ha dimostrato l’importanza delle tutele sui depositi (fino a un certo limite) per il funzionamento del sistema creditizio. Allo stesso tempo, però, ha anche insegnato che garanzie implicite più estese generano una leva finanziaria elevata, con maggiori rischi e minore efficienza del sistema finanziario.
Abbiamo già visto in questo millennio, senza andare troppo indietro nel tempo, che quando le banche non si fidano di altre banche, la prima domanda che viene posta in automatico è: perché dovrebbero farlo i depositanti? Ma a quel punto la fuga dai depositi non sarà più solo una crisi di liquidità.
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