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Banche e tassa sugli extraprofitti, così l’Abi sceglie la strada del dialogo

La linea: basso profilo, ma l'obiettivo è una modifica del testo, per far sì che l'imposta sui profitti sia quanto meno deducibile fiscalmente, a differenza di quanto previsto, con una riduzione dell'aliquota effettiva dal 40 al 27%

di Luca Davi

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4' di lettura

Spiazzati da una tassa non preannunciata, preoccupati soprattutto per l’incertezza regolatoria che una mossa come quella dell’Esecutivo ha generato (e per le possibili crisi di fiducia con gli investitori internazionali), i banchieri italiani si ritrovano uniti e compatti al tavolo dell’Abi. E scelgono la strada della responsabilità e del dialogo con il Governo. Obiettivo: provare a migliorare il testo. Almeno per tentare di ridurre l’impatto di un prelievo ritenuto ingiustificato nella ratio, pesante nelle proporzioni e “sgrammaticato” nella forma. A partire dalla previsione di quella «indeducibilità» della tassa, qualifica voluta dall'Esecutivo, e ritenuta invece inaccettabile dai banchieri.

A distanza di qualche giorno dal varo della tassa sui cosiddetti extraprofitti – il 40% sui maggiori margini da interesse generati dalle banche nel 2023, con un tetto allo 0,1% degli attivi -, l’Associazione dei banchieri italiani si è riunita ieri mattina per fare il punto della situazione e ragionare sul da farsi. Nessuna voglia di fare polveroni, né tanto meno di tirare su le barricate. La parola d’ordine condivisa da tutti, anzi, è: basso profilo e bocche cucite. Non a caso dall’Abi ieri non è stato diffuso alcun comunicato nè filtrava alcun commento.

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Approccio in linea con quanto accade di norma in questi casi, visto che prima di esprimersi il presidente Antonio Patuelli vuole avere in mano il testo, che è stato pubblicato in Gazzetta siki nella serata di ieri. L’imposta non potrà superare i 3,2 miliardi di euro, corrispondenti allo 0,1% degli attivi del settore, anche se le ultime stime parlano di un impatto del prelievo attorno a 2-2,5 miliardi per l’intero sistema bancario, corrispondente a circa lo 0,3% medio del patrimonio di qualità (Cet 1 ratio) dei primi 10 istituti. Con esborsi che, secondo i calcoli di Ubs, andrebbero dagli 877 milioni di Intesa Sanpaolo ai 436 di UniCredit, dai 190 di Banco Bpm ai 152 di Bper 152.

Numeri e magnitudo diverse, si capisce, sebbene in parte ammorbidite dal “correttivo” inserito martedì sera dal Mef, che ha fissato la soglia massima del prelievo allo 0,1% degli attivi (contro il 25% del patrimonio netto previsto in precedenza). Chi ha partecipato all’incontro di ieri - un Comitato di presidenza convocato in via straordinaria, e realizzato in modalità remota, con i principali banchieri italiani collegati a distanza dai luoghi di vacanza - racconta però di un clima di «totale compattezza e unità» tra tutti i banchieri, inclusi i vertici delle due principali banche italiane, Intesa Sanpaolo e UniCredit. Un dato non scontato, visti i recenti disallineamenti interni sui temi legati alla revisione del contratto dei bancari.

Dunque, pieno mandato e massima fiducia al presidente Antonio Patuelli, cui è toccato fare una relazione per spiegare cosa è accaduto nelle ultime, concitate, ore: da quando cioè lunedì sera il testo della norma sugli “extra-profitti” è entrato a sorpresa nel Consiglio dei Ministri per essere rivisto poi almeno due volte nelle ore successive. Ore in cui i mercati punivano i titoli delle banche italiane facendo perdere, come accaduto martedì, circa 10 miliardi di capitalizzazione.

Ore invece in cui il vertice dell’Abi, aveva contatti continui con tutti i vertici politici, del Tesoro e dei regolatori, italiani ed europei, da Banca d’Italia alla Bce, per ragionare e correre ai ripari su un provvedimento che ha destabilizzato il mercato. Perchè con una mossa inattesa, e corretta in corsa più volte - si ragionava ieri - «il Governo ha di fatto generato un danno superiore a qualsiasi prelievo anche solo immaginabile», spiega il ceo di una grande banca italiana. E «con un minimo di concertazione in più si poteva evitare tutto questo caos», spiega un altro banchiere.

Ecco perché ora la linea condivisa in Abi di abbassare i toni e sperare in un clima migliore, al netto delle polemiche. «Non siamo in Urss, sono un liberale - diceva ieri il ministro delle Infrastrutture Salvini - ma andiamo avanti sulla tassa sugli extraprofitti». Si guarda a settembre, quando riapriranno i lavori parlamentari. L’obiettivo è muoversi in maniera dialogante, senza strappi. Un approccio in linea con le aperture politiche arrivate nelle ultime ore. Ancora prematuro dire quali possano essere i “correttivi” ma una delle ipotesi più fondate, e di cui si sarebbe ragionato anche ieri, è far sì che la tassa sui profitti sia quanto meno deducibile fiscalmente, diversamente da quanto previsto dall’Esecutivo.

Se così fosse significherebbe ridurre l’aliquota effettiva dal 40 al 27% circa, con un risparmio del 13% circa sull’ammontare complessivo del prelievo. La questione è tecnica ed è già oggetto di riflessione da parte dei tecnici dell’Abi, ed è realistico venga posta sul tavolo dei futuri ragionamenti con il Governo. Non di stretta attualità invece una possibile revisione al rialzo dei tassi applicati alla clientela, tema su cui ci sarebbero diverse sensibilità al momento. Se ne parlerà, realisticamente, più avanti, a settembre, quando entrerà nel vivo il dibattito parlamentare.

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