Banche, perché il mercato punta sui bond e sta lontano dalle azioni?
Dal 2014 a oggi i bond subordinati bancari hanno garantito un ritorno di investimento superiore al 70% contro un calo del 16% dell’azionario. Ecco perché
di Andrea Franceschi
4' di lettura
Il settore bancario è sicuramente uno dei comparti che in questi anni ha più faticato a fare profitti. La trasformazione digitale ha messo sotto pressione i ricavi; la politica dei tassi negativi Bce ha compresso pesantemente i margini di guadagno. Come se tutto ciò non bastasse la regolamentazione introdotta dopo la crisi (prima con gli accordi di Basilea e poi con la direttiva comunitaria Brrd che ha introdotto il “bail-in”) ha costretto gli istituti ad accantonare sempre più risorse a copertura degli attivi a rischio e spesso, come accaduto in particolare in Italia, a mettere in atto ripetuti aumenti di capitale.
Se per gli azionisti tutto ciò si è tradotto in deprezzamenti consistenti del valore delle azioni e in una politica di dividendi sempre meno generosa per i creditori le cose sono andate diversamente. «Il rafforzamento patrimoniale degli istituti li penalizza sul fronte della redditività e questo finisce per riflettersi negativamente sul prezzo delle azioni. Ma dal punto di vista di un creditore la maggiore solidità degli istituti rappresenta una garanzia in più sulla loro solvibilità» spiega Antonio Ruggeri gestore di SYZ Asset Management specializzato in obbligazionario europeo corporate e subordinato.
Per questo, a fronte della debolezza delle azioni, i bond bancari, in particolare quelli a maggior grado di rischio, hanno fatto registrare una performance decisamente migliore. I bond subordinati delle banche europee che ricadono nella categoria dei cosiddetti “contingent convertible” (coco-bonds in gergo) dal 2014 ad oggi hanno messo a segno un ritorno di investimento del 73,7 per cento. Numeri che si confrontano con una performance decisamente più magra dell’indice azionario che, anche tenendo conto dei dividendi, ha perso oltre il 16% nello stesso arco temporale.
I bond bancari convertibili sono una sorta di via di mezzo tra il capitale e il debito. Sebbene più tutelati rispetto agli azionisti i sottoscrittori di questi titoli godono di minori garanzie rispetto a chi detiene bond senior. Questa loro maggiore rischiosità viene in genere remunerata con cedole più generose. Una caratteristica, quest’ultima, che li ha resi particolarmente gettonati in questi mesi sul mercato obbligazionario denominato in euro caratterizzato dalla crescente presenza di titoli a rendimenti negativi. Soprattutto (ma non solo) tra i governativi.
«I subordinati bancari denominati in euro rendono in media il 4% - spiega Paul Gurzal, gestore obbligazionario di La Française AM - e ciò li rende particolarmente interessanti per un investitore obbligazionario che, in questa fase, fatica a trovare rendimenti». Rispetto ad altri titoli ad alto rischio come ad esempio i bond corporate ad alto rendimento (high yield) i “coco” bancari hanno due vantaggi in più secondo il gestore:
1) sono estremamente più liquidi perché ce ne sono molti di più in circolazione;
2) sono potenzialmente immuni da quello oggi rappresenta il rischio numero uno per gli investitori: la guerra commerciale.
«Il settore bancario è l’unico ad avere messo in atto un serio processo di riduzione della leva finanziaria e ciò, dal punto di vista di un creditore, rappresenta una garanzia importante». I numeri sono notevoli: «In 10 anni - calcola Ruggeri - gli attivi ponderati per il rischio delle banche europee (Rwa in gergo) si sono ridotti del 20%, il capitale azionario è aumentato del 40% e i crediti deteriorati si sono più che dimezzati rispetto ai picchi del 2012-2013».
Certo se si dovesse andare incontro a una recessione le banche non se la passerebbero troppo bene dato che la crisi comporta in genere un aumento delle insolvenze con riflessi negativi sul capitale. Il rischio a quel punto è che i coefficienti patrimoniali scendano sotto le soglie critiche che vanno a intaccare il debito subordinato. A quel punto possono scattare misure, diciplinate nel dettaglio nei prospetti informativi dei titoli, che vanno a intaccare i creditori: si va dalla sospensione della cedola (nel migliore dei casi) alla conversione del debito in azioni (nel peggiore).
«Bisogna sempre fare attenzione all’emittente privilegiando gli istituti più solidi a quelli più piccoli e potenzialmente vulnerabili» avverte Domenico Rizzuto di DR Finance Consulting. La crisi delle banche italiane di qualche anno fa, in cui furono coinvolti i risparmiatori retail che sottoscrissero bond subordinati bancari ignari dei rischi, dovrebbe rappresentare un monito in questo senso.
Tenendo sempre a mente che si tratta di merce da investitori specializzati il primo modo per cautelarsi è quello di evitare le banche troppo piccole e fragili. Il lavoro si selezione molto spesso viene già fatto dal mercato: «Le emissioni delle grandi banche - spiega il gestore - in genere registrano un boom di sottoscrizioni mentre le piccole molto spesse vengono tagliate fuori».
Ma quanto potenziale ancora c’è per i coco-bond bancari guardando al futuro? «Posto che chi compra in questa fase lo fa soprattutto per la cedola, un aumento dei prezzi non è da escludere» commenta Ruggeri. Il catalizzatore di un nuovo rally potrebbe essere l’inclusione dei bond bancari senior nel perimetro del nuovo Qe che potrebbe fare da traino a tutto il mercato delle obbligazioni bancarie (coco bond compresi).
«La Bce - spiega Ruggeri - ha un problema di scarsità di titoli acquistabili e allargando il ventaglio di titoli acquistabili alle obbligazioni bancarie lo risolverebbe». Su questa prospettiva tuttavia non c’è unità di vedute tra gli addetti ai lavori.
Se Domenico Rizzuto la considera un’ipotesi fattibile ma non all’ordine del giorno altri, come Antoine Lesné di SPDR ETFs, vede grossi ostacoli politici a una simile eventualità: «Dal mio punto di vista includere i bond bancari nel Qe equivarrebbe a superare un punto di non ritorno. Se non adeguatamente regolamentata una simile misura rischia di violare il divieto di finanziamento monetario imposto dai Trattati».
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