Banche, un trimestre da record: profitti a 16,5 miliardi (+80%)
Kearney: «Guidance di fine anno porta a numeri ancora migliori». I tassi elevati sugli impieghi hanno spinto il net interest income a 28,9 miliardi
di Luca Davi
3' di lettura
Un trimestre da record. Per tutte le banche. Dalle grandi a quelle più piccole. Il lasso compreso tra giugno e settembre ha portato, ancora una volta, profitti mai visti nelle casse degli intermediari bancari italiani. E così sono stati qualcosa come 16,5 miliardi gli utili generati nei primi nove mesi dell’anno: un dato superiore dell’80% ai numeri, già elevati, raggiunti alla fine terzo trimestre 2022, quando le banche totalizzarono ben 9,2 miliardi di profitti netti.
Il campione
La fotografia - scattata da Kearney sul campione formato dai principali gruppi domestici, Intesa Sanpaolo, UniCredit, BancoBpm, Mps, Bper , Banca Pop. Sondrio, Credem e Bnl Bnp Paribas - mette in evidenza la salute di un comparto che, superata l’onda lunga della pandemia e schivati gli effetti nefasti della guerra in Ucraina, si trova con il vento in poppa dei maxi-tassi Bce. E che si trova ben posizionato per chiudere un anno all’insegna di un’ulteriore crescita, con soddisfazioni rilevanti per gli azionisti. Praticamente tutte le principali banche infatti, non solo hanno battuto le attese degli analisti nel terzo trimestre, ma molte di esse hanno anche ritoccato al rialzo le stime per l’anno in corso: da Intesa Sanpaolo, che ha rivisto la guidance di utile netto a oltre 7,5 miliardi di euro, a UniCredit, che ha migliorato la propria previsione di margine di interesse 2023 ad almeno 13,7 miliardi di euro; fino ad arrivare a Bper e Mps che ora vedono un utile «maggiore o uguale a 1,1 miliardi».
Gli azionisti sorridono
Per gli azionisti, insomma, c’è motivo per sorridere. Anche perché nel frattempo gli istituti sono riusciti a rimpolpare anche il loro patrimonio, evitando la tassa sugli extra-profitti. Avvalendosi della facoltà di destinare a riserva un valore pari a 2,5 volte il valore della tassa, le banche hanno evitato di pagare all’erario circa 2 miliardi. «E la guidance di fine anno porta a numeri ancora migliori rispetto a quelli attesi alla semestrale - spiega Roberto Freddi, partner della società di Kearney - che permettono di fatto di compensare gli accantonamenti che sono stati fatti ai fini della tassa extraprofitti».
Le ragioni dei maxi utili
Ma come si può spiegare questa autentica messe di profitti? Sono almeno tre le ragioni del boom. La prima è inevitabilmente costituita dall’impennata del margine di interesse. Il mantenimento dei tassi su livelli elevati – l’euribor a 6 mesi oltre quota 4%, ai massimi dal 2008 – rappresenta infatti la leva che ha permesso alle banche di tenere ampio lo spread commerciale. Da una parte le banche hanno ritoccato lievemente al rialzo i tassi passivi riconosciuti sui conti correnti della clientela – è il cosiddetto pass through sui depositi – ma dall’altra parte si sono ritrovate con tassi sugli impieghi a livelli record. Basti pensare che nei nove mesi il net interest income ha toccato la somma di 28,9 miliardi, il 57% in più di settembre 2022, quando già erano stati raccolti 18,4 miliardi. I maxi-margini hanno così permesso ancora una volta di compensare non solo il minor contributo derivante dalle aste Tltro, ma di ribilanciare anche il calo delle commissioni nette, che nel frattempo sono scese del 2%, a 18,15 miliardi: un calo, quest’ultimo, legato all’andamento negativo dei mercati azionari e obbligazionari. E su cui ha inciso la concorrenza dei Btp in area 4%, che ha generato deflussi dal risparmio gestito e ridotto i margini consulenziali. «In uno scenario in cui gli interessi guidano il boost della crescita dei ricavi, l’impatto generato dalla contrazione del credito verso privati e imprese è ancora limitato - aggiunge Freddi - L’andamento delle commissioni nette risente invece ancora di gestito che non sta facendo ancora il rimbalzo».
Il secondo elemento è costituito dall’andamento dei costi. E qua le banche hanno mostrato di sapere tenere la barra dritta. Nonostante un’inflazione che continua a mordere, gli istituti sono stati in grado di contenere i costi: a fronte di un aumento delle spese amministrative del 2%, i costi per le spese del personale sono infatti scesi del 2%, portando a zero la differenza tra costi operativi tra un anno e l’altro. E questo dato, combinato al rinvigorimento dei ricavi, ha abbattuto l’indice cost/income, che è sceso del 9%, atterrando dal 53% di settembre 2022 al 44% di oggi.
Ma non basta. Perché il terzo, e non certo trascurabile, elemento che aiuta a spiegare il boom di profitti è costituito dal calo delle rettifiche. Se è vero che l’aumento dell’inflazione è destinato a pesare sulla qualità del credito (come in parte sta già accadendo), è anche vero che fino ad oggi le banche non risentono di un rilevante peggioramento del rischio. Da qua, il netto calo delle rettifiche, praticamente dimezzate (-47%, a 2,6 miliardi) rispetto alla fine del terzo trimestre del 2022.
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