“Bardo”, il ritorno di Iñárritu con un film intimo e visionario
In concorso alla Mostra di Venezia il nuovo lungometraggio del regista messicano, tornato dietro la macchina da presa sette anni dopo “Revenant”
di Andrea Chimento
I punti chiave
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Uno dei ritorni più attesi della stagione: sette anni dopo “Revenant”, Alejandro González Iñárritu ha presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il suo nuovo lavoro, “Bardo”, uno dei film più intimi di tutta la sua carriera.
Inserito in concorso, il film è incentrato su un importante giornalista e regista di documentari, nato e cresciuto in Messico ma da anni residente a Los Angeles.
L'uomo, dopo aver ricevuto un prestigioso riconoscimento internazionale, è costretto a tornare nel suo paese natale, ignaro che questo semplice viaggio lo spingerà verso una profonda crisi esistenziale.
Arrivato al suo settimo lungometraggio, reduce da due Oscar consecutivi come miglior regista per “Birdman” e “Revenant”, Iñárritu firma il suo film più personale, con protagonista un personaggio fortemente ispirato a se stesso, tanto nel look quanto nelle esperienze di vita che l'hanno portato lontano dal Messico.Era dal 2000, anno del suo esordio “Amores perros”, che l'autore non ambientava una pellicola nel suo paese natale e sono proprio le sequenze maggiormente politiche – sul contrasto tra Messico e Stati Uniti – quelle più riuscite e incisive del film.Un'opera sovrabbondante“Bardo” è un prodotto che non va per niente per il sottile, accumulando una serie infinita di riferimenti che spaziano dai precedenti lungometraggi del regista a celebri opere del passato inerenti a tematiche simili (“8 ½” di Federico Fellini viene in mente più volte, in particolare nella scena iniziale e in quella conclusiva).
I momenti in cui il film vola altissimo sono diversi – a partire da una sequenza da incubo in cui il personaggio si trova in mezzo a corpi che crollano improvvisamente a terra – ma non mancano anche diverse scene in cui la pellicola gira eccessivamente a vuoto, soprattutto in un'ultima ora (la durata è di quasi tre) che mette in scena troppi finali e diversi passaggi inutilmente autocompiaciuti.
Lungometraggio che si prepara a dividere, “Bardo” è comunque un film affascinante, che sarebbe stato ancora più riuscito con qualche taglio qua e là e con una minore ossessione di dover raccontare troppe cose.
Tár
Un altro lavoro di grande fascino presentato in concorso è “Tár” di Todd Field con protagonista Cate Blanchett.L'attrice interpreta una grande direttrice d'orchestra che si trova in un momento cruciale della sua esistenza.Terzo lungometraggio del sottovalutato Todd Field, “Tár” conferma il talento del regista di “In the Bedroom” e “Little Children”, capace di gestire al meglio i tempi dell'azione in un film che è proprio incentrato sull'importanza del ritmo.Prolisso nella prima parte, il film fatica inizialmente a coinvolgere, ma poi cresce alla distanza dando vita a una serie di interessanti riflessioni teoriche che si mantengono vive nella mente degli spettatori anche al termine della visione.Raffinato nella regia e incisivo nella sceneggiatura, “Tár” soffre di una certa freddezza che viene però compensata dall'eleganza complessiva e dall'ennesima, grande prova di una Cate Blanchett perfettamente in parte.
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