Basta parole: servono fatti per dare valore alla maternità
In Italia abbiamo una media di 1,24 figli a donna in età fertile contro l’1,8 della Francia. Non è sufficiente investire negli asili nido e nei bonus per invertire la rotta.
di Monica D'Ascenzo
2' di lettura
Abbiamo passato anni a demolire una narrazione troppo romantica della maternità. A raccontare che si può essere “bad moms” senza sensi di colpa, che non è possibile avere tutto e le rinunce (forzate) sono all’ordine del giorno, che la vita con un neonato è una devastazione e con un figlio adolescente una guerra di trincea. L’angelo del focolare è stato soppiantato nell’immaginario da una Dea Kali esausta, stremata, arrancante nel tenere in equilibrio precario una quotidianità fatta di cura familiare, lavoro fuori casa, impegni scolastici, attenzione alla salute mentale altrui, gestione dei genitori (e suoceri) anziani. Le ragazze della Generazione Z guardano alle mamme di oggi e si chiedono “Chi glielo fa fare?”. Perché un figlio vuol dire spesso rinunciare alla carriera, se non addirittura al lavoro, vuol dire farsi da parte per pensare alla vita di un altro, vuol dire mettere in un cassetto sogni e aspirazioni.
Poi ogni anno l’appuntamento con gli Stati Generali della Natalità. Sul palco una pletora di giacche e cravatte blu discute su quali siano le soluzioni per fermare l’inverno delle nascite in Italia. Qualcosa di necessario per sostenere i conti pubblici e il sistema previdenziale in un Paese in rapido invecchiamento. Necessario per dare un futuro all’Italia e slancio alla nostra competitività. E le ragazze della Generazione Z fanno un altro passo indietro, perché non voglio essere trattate come pedine sociali di un disegno di Paese tratteggiato dall’alto.
In Italia abbiamo una media di 1,24 figli a donna in età fertile contro l’1,8 della Francia. Non basterà qualche asilo in più grazie al Pnrr o una politica di bonus per far crescere quel numero. Un numero che non deve essere considerato un valore in sé o in quanto positivo per il Paese. Ma deve essere piuttosto la spia del benessere di una società.
La prospettiva si cambia solo se si smette di guardare a madri (e figli) come un disvalore sociale, un peso nel mondo del lavoro, un problema per le amministrazioni locali, una spesa per gli investimenti pubblici. Solo guardando alla maternità come valore fondante della nostra società e del nostro futuro si uscirà dal ginepraio di riflessioni ipocrite sulla denatalità nel nostro Paese e si costruirà una via in cui le donne di domani potranno decidere liberamente e senza fardelli, economici e mentali, se diventare madri o meno. Dalla scelta libera, consapevole e personale di ciascuna può avere avvio la rinascita di un’Italia che sta cercando ancora la propria identità nel materno. Non esistono ricette politiche calate dall’alto che possano fermare l’inverno demografico, quando manca una cultura della maternità.
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