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«Basta sussidi, è l’ora della Politica Industriale»

Gli economisti Giovanni Dosi e Mario Pianta concordi nella necessità di guidare lo sviluppo in modo diverso puntando sui settori del futuro

di Luca Orlando

(IMAGOECONOMICA)

2' di lettura

Costa? Certo, ma in realtà meno rispetto all’attuale schema dei sussidi e degli aiuti a pioggia.

È la Politica Industriale il tema al centro del dibattito tra Giovanni Dosi, Economista della S.Anna di Pisa e Mario Pianta, presidente della Società Italiana di Economia.

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Concordi nel ritenere anzitutto che il ruolo dello Stato sia tuttora decisivo nel guidare lo sviluppo in aree in cui il mercato fallisce, tecnologie di frontiera verso cui ricerca e investimenti privati da soli non si indirizzano.

«Se pensiamo al progetto Apollo - spiega Dosi - o al boom della farmaceutica americana dopo la scelta di portare penicillina a tutto l’esercito, vediamo che ogni grande avanzamento è avvenuto in questo modo: definendo prima obiettivi sociali e politici e predisponendo poi le risorse per arrivarci».

Il problema dell’Europa - osserva Pianta - è però quello di voler agire con le mani legate, rinunciando ad utilizzare la leva della politica fiscale e adottando norme restrittive sugli aiuti di Stato. «La pandemia ha cancellato queste rigidità ma ora si rischia di tornare indietro. Se guardiamo a come l’Italia ha affrontato la crisi si contano 100 miliardi di sussidi a famiglie e imprese per tamponare lo shock. Fondamentali certo. Ma occorre andare oltre».

Anche il Pnrr, «200 miliardi suddivisi in centinaia di linee di investimento» è in realtà troppo dispersivo, perché ciò che servirebbe è concentrare le risorse in pochi ambiti partendo da una visione di futuro. «Spendendo le risorse evitiamo la recessione - aggiunge Pianta - e questo è un bene.  Ma è un po’ come stare sulla linea di porta cercando di buttare la palla in corner mentre invece dovremmo giocare all’attacco».

Servirebbe in questa fase più Stato - commenta Dosi - così come politiche di bilancio meno restrittive. «Qualsiasi idea di politica industriale - spiega - è ovviamente incompatibile con una linea di austerità. Il debito? Se riusciamo a crescere in modo significativo il debito si prende cura da sé. E ad ogni modo, anche se una politica industriale evidentemente richiede investimenti per poter incidere, alla fine costa meno dei finanziamenti a pioggia che invece abbiamo deciso di erogare negli ultimi 40 anni».

Puntare sulla difesa delle produzioni del made in Italy, da questo punto di vista, rischia di essere una battaglia di retroguardia, una sorta di «tirare a campare», con la vera sfida da lanciare in direzione diversa, andando a recuperare i gap accumulati ad esempio nel campo dell’elettronica o puntando con decisione sui nuovi trend emergenti, come l’intelligenza artificiale, le nuove motorizzazioni, il recupero dei materiali.

«L’errore del passato verso Fca - aggiunge Pianta - è stato quello di sostenere il gruppo guardando al breve termine, senza pretendere investimenti in direzione del futuro. Con il risultato che oggi Stellantis trasferisce progressivamente produzioni in Francia».

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