«Basterebbero piccoli ritocchi per dare più efficacia alle liberalità»
Come intervenire sulla normativa di settore
di Lucilla Incorvati
3' di lettura
L’interesse delle famiglie nel mondo della filantropia e più in generale del terzo settore è in crescita. E mai come in questa fase può essere cruciale. Tra i tanti report del settore quello di Civicus sottolinea il ruolo fondamentale che gli attivisti, le organizzazioni grassroots e quelle non profit hanno ricoperto dallo scoppio della pandemia. Nel mondo da inizio anno l’apporto dei super super ricchi (ovvero i miliardari) è stato elevatissimo. Secondo l’ultimo report di Ubs considerando chi ha donato direttamente oppure attraverso supporti finanziari (fondi di impact ionveste) oppure mediante “impact entrepreneurs” sono stati donati da marzo a giugno a livello mondiale 7,2 miliardi di dollari . Ma anche il rapporto “Solidarietà al tempo del Covid-19”, evidenzia le numerose risposte della società civile da tutto il mondo e sottolinea alcune lezioni preliminari e riporta delle raccomandazioni rivolte agli Stati e agli altri stakeholder per collaborare con la società civile, sia nel rispondere alla pandemia sia nell’affrontare i vari problemi che questa crisi ha fatto emergere e inasprire. Quanto all’Italia sappiamo che il 14% di chi si avvale di servizi di Family Office è stabilmente coinvolto in attività filantropiche.
«L’attivismo delle famiglie nel no profit esiste da tempo ed è in crescita. Oggi occuparsi degli affari di un famiglia private e non supportarla nella sua attività legata al no profit è come dire non seguirla perché questa attività è sempre più strategica nelle holding di famiglia» - sottolinea Paolo Ludovici, fondatore dello Studio Ludovici Piccone &Parner che dal primo gennaio dopo la recente partership diventerà Gatti Pavesi Bianchi Ludovici.
Le ragioni sono diverse secondo Ludovici. «Chi ha avuto successo desidera restituire qualcosa alla società - spiega - poi c’è l’interesse specifico di alcuni membri in progetti oltre al fatto che c’è sempre una correlazione positiva in termini di percezione tra quella delle aziende e il loro attivismo sul territorio».
Tuttavia, per dare un’ulteriore spinta al settore secondo l’esperto sarebbero però opportuno delle piccole ma importanti modifiche fiscali
Con a legge delega n. 106 a partire dal 2018 le liberalità che le aziende effettuano a favore di enti e soggetti del terzo saranno deducibili fino al tetto massimo del 10% dal reddito d’impresa dichiarato. Un paio di modifiche alla norma potrebbero aumentarne l’efficacia. «Intanto il limite del 10% potrebbe essere esteso al consolidato di gruppo - sottolinea Ludovici - ottimizzando le attività filantropiche a livello di holding che, in quanto generalmente carente di reddito proprio, risulterebbe esclusa dal beneficio fiscale . Inoltre, si eviterebbe qualunque intercessione con le singole società operativia sia sul fronte della governance sia della responsabilità dei singoli amministratori in caso di crisi d’impresa. Questa problematica delle società operative potrebbe limitare le liberalità per le società quotate controllate da holding di famiglia o con soci di minoranza».
Il secondo aspetto fiscale sul quale secondo Ludovici si potrebbe lavorare prende spunto dalla disciplina della deducibilità degli interessi passivi . Si potrebbe prevedere la regola del riporto in avanti senza limiti di tempo sia per le erogazioni che in un determinato periodo di imposta superano il tetto del 10% del reddito dichiarato sia anche dell’ammontare di tale soglia che non dovesse essere utilizzato. «Questo consentirebbe - conclude Ludovici - di stabilizzare i flussi delle erogazioni liberali, evitando che siano condizionate dal reddito del singolo periodo di imposta».
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