l'Intervista: thore sekkenes

«Batterie al litio, l’Europa può agganciare la Cina»

Il capo del programma industriale illustra i piani dell’Alleanza europea . «L’Italia ha un grande potenziale, investire di più sui macchinari»

di Gabriele Meoni

(Nischaporn - stock.adobe.com)

3' di lettura

Nell'Europa impaurita e semi-paralizzata dal Covid c'è un'industria che continua a investire e a creare posti di lavoro: è quella delle batterie agli ioni di litio. Qui pulsa il cuore delle auto elettrificate, quelle che gli addetti ai lavori non a caso chiamano Bev (Battery Electric Vehicles), eredi designate dei “vecchi” motori a combustione interna.

La cartina dell'Europa si sta così riempiendo di gigafactory, il termine coniato da Elon Musk nel 2013 per la prima fabbrica di batterie di Tesla in Nevada. Ce ne sono almeno 10-15 in fase di avvio o progettazione, con l'obiettivo di moltiplicare esponenzialmente la capacità produttiva fino a 400 GWh entro la fine del decennio. L'Europa vuole affrancarsi dalla dipendenza dai giganti asiatici come la cinese Catl, la coreana Lg Chem e la giapponese Panasonic, dominatori del mercato. E creare posti di lavoro per compensare almeno in parte la perdita di occupati nella filiera dell'auto.

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Per rispondere a questa formidabile sfida industriale nel 2017 la Commissione europea ha lanciato l'Alleanza europea delle batterie (Eba). Bruxelles stima un valore potenziale del mercato europeo fino a 250 miliardi nel 2025. Una cifra enorme che di questo passo sarebbe tutta incamerata dai big asiatici.

Thore Sekkenes è l'uomo incaricato del «miracolo» di trasformare questa alleanza in miniere, stabilimenti, posti di lavoro. È il direttore del programma di sviluppo industriale dell'Eba, una comunità che riunisce più di 500 attori industriali, dall'estrazione al riciclaggio, guidati da EIT InnoEnergy. «Se parliamo di volumi - spiega al Sole 24 Ore da Stoccolma - l'Asia è nettamente in vantaggio. Attenzione però: le cose stanno cambiando velocemente. Nel 2019 gli investimenti in Europa sono stati pari a 60 miliardi, 3 volte quelli della Cina. Tra 5 anni non li avremo ancora raggiunti ma non saremo lontani. Gli stessi produttori asiatici investono in Europa, attratti da un mercato dell'auto elettrica in forte crescita. Questa volta sono loro a portare qui la tecnologia più moderna e noi possiamo imparare da loro».

Che cosa manca ancora all'Europa per poter competere ad armi pari con Cina e Corea del Sud? Prima di tutto le materie prime. Litio, nichel, manganese, cobalto sono estratti in gran parte in Cina, Sudamerica o Africa. Non si può pensare di costruire una filiera produttiva senza la materia prima.

«Passo la maggior parte del mio tempo come direttore del programma industriale dell'Eba a promuovere nuovi progetti di estrazione - racconta Thore Sekkenes -. In Europa dobbiamo riaprire le miniere, non ho timori a dirlo. Ovvio che lo dobbiamo fare rispettando la normativa ambientale, ma non abbiamo scuse. L'Europa è piena di riserve di litio, eppure lo importiamo quasi tutto. Abbiamo anche cobalto, manganese e nichel. Cosa aspettiamo ad estrarlo? Sul litio possiamo conquistare l'indipendenza».

Oltre alle risorse fisiche, servono quelle umane, e anche in questo campo l'Europa ha molta strada da fare. «Dobbiamo colmare il divario di conoscenza. Siamo competitivi nella ricerca, molto meno nella produzione. Insomma, ci manca il personale in grado di costruire e gestire fabbriche di batterie».

E l'Italia? C'è ma non si vede molto. Il nostro Paese ha aderito all'ultimo progetto di interesse europeo (Ipcei) con il quale lo scorso dicembre la Commissione europea ha autorizzato aiuti di Stato per 3,2 miliardi per sviluppare una filiera innovativa delle batterie. Delle 17 aziende coinvolte, 5 sono italiane: Faam, Endurance, Enel X, Kaitek e Solvay. Il piano però ha un obiettivo di lungo termine e finora l'unica azienda italiana impegnata nella produzione di celle a ioni di litio è la Faam, con un primo stabilimento che sarà avviato nel Casertano all'inizio del 2021, mentre la gigafactory per l'auto elettrica è prevista nel quinquennio 2021-2026.

L'Italia insomma partecipa ai progetti del futuro, ma ad oggi gli investimenti nel campo delle batterie sono tutti o quasi concentrati a nord delle Alpi. Un'altra occasione perduta per creare una nuova filiera industriale nel nostro Paese?

«È vero che l'Europa del Sud e in particolare l'Italia può fare di più - ammette Sekkenes -. Il vostro Paese ha una grande tradizione nell'industria dei macchinari: perché non investire nella produzione di macchine per l'industria delle batterie? O ancora: nell'indotto di Fca ci sono diverse aziende che producono tubi di scarico. Le si potrebbero convertire nell'assemblaggio dei pacchi delle batterie».

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