innovazione

Batterie al litio, Italia in gara per una partita da 250 miliardi

Il Politecnico di Torino nel piano europeo che sfida l’Asia sui sistemi di accumulo. Filiera produttiva da organizzare. Servono ingegneri e tecnici

di Laura Cavestri

Nobel Chimica agli inventori del 'mondo ricaricabile'

3' di lettura

C’è un business che, a partire dal 2025, varrà circa 250 miliardi di euro l’anno. Lo dice lo European Institute of innovation and technology. Un business dal quale le aziende europee, oggi, sono escluse, con le “briciole” di una quota di mercato che tocca appena il 3%: è quello delle celle per le batterie agli ioni di litio in cui accumulare l’energia prodotta per molteplici usi, ma soprattutto per alimentare le auto elettriche. Perchè i giganti del mercato stanno tutti nel triangolo Cina-Giappone-Corea del Sud. Dopo il petrolio, insomma, l’Europa rischia un’altra dipendenza, quella dalle celle asiatiche per i sistemi di accumulo.

Che cosa è «Battery 2030+»
E così Bruxelles ha varato la sua strategia di ricerca e sviluppo. Non con l’obiettivo di inseguire l’Asia. Ma di superarla, in innovazione e sostenibilità.

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A marzo è partito il progetto di ricerca di base – “Battery 2030+” – che comprende 5 università, 8 centro di ricerca e 3 associazioni industriali e che punta a inventare le batterie del futuro e fornire all’industria tecnologie all’avanguardia lungo tutta la filiera, che va dall’approvvigionamento delle materie prime al riciclo delle batterie a fine vita.

A coordinare il tutto ci sono Kristina Edström, professoressa di chimica inorganica all’Università di Uppsala in Svezia e, per l’Italia – l’unico ateneo coinvolto nel flagship è il Politecnico di Torino – la professoressa Silvia Bodoardo, torinese, 54 anni, chimica (per formazione), un phd al “concorrente” Politecnico di Milano e oggi docente associato di Chimica applicata e Tecnologia dei materiali a quello di Torino.

Per poter competere con cinesi, giapponesi e coreani dobbiamo mettere a punto celle più performanti dal punto di vista della quantità di energia immagazzinata e della vita della batteria

«Per poter competere con cinesi, giapponesi e coreani – ha spiegato Bodoardo – è inutile rincorrerli sul loro stesso terreno, producendo quello che loro già possono offrire con economie di scala già collaudate. Dobbiamo mettere a punto celle più performanti dal punto di vista della quantità di energia immagazzinata e della vita della batteria, oltre che più sicure».

I filoni della ricerca
«I filoni di ricerca – ha aggiunto Bodoardo – si snodano sull’asse della ricerca di nuovi materiali per batterie, come le batterie al litio-zolfo e litio-aria e stiamo studiando la possibilità di inserire utilizzando – ora si può solo all’esterno – dei sensori che, con l’impiego dell’intelligenza artificiale dentro alle celle, ne monitorino il surriscaldamento e le reazioni chimiche al loro interno, per prevederne i danni, l’usura e garantire una vita più lunga».

Le batterie sono tra le tecnologie chiave per far uscire, nei prossimi anni, il sistema di approvvigionamento energetico europeo, dagli idrocarburi, sia sul fronte dei trasporti che dell’energia elettrica.

«Le batterie al litio-zolfo – ha aggiunto Bodoardo – possiedono 5 volte la capacità di quelle attuali al litio. Inoltre, lo zolfo è molto più facile da reperire e a buon mercato, anche perchè è anche uno scarto di lavorazione del petrolio. Ritengo nell’arco di 4-5 anni si possa arrivare ad avviarne la produzione. Molto più interessante anche la ricerca sulle batterie litio-aria, che potrebbero raggiungere una densità di energia 10 volte superiore all’attuale. Tuttavia, quì siamo ancora lontani da una messa in commercio. Nel prossimo futuro, avremo bisogno di nuove generazioni di batterie ad altissime prestazioni, affidabili, sicure, sostenibili e convenienti».

Le batterie al litio-zolfo possiedono 5 volte la capacità di quelle attuali al litio. Inoltre, lo zolfo è molto più facile da reperire e a buon mercato

Anche la riciclabilità è un aspetto cruciale. «Non solo perché – ammette la professoressa – le batterie esauste sono rifiuti pericolosi ma soprattutto perché l’Europa sconta un fortissimo deficit anche sul fronte della disponibilità delle materie prime necessarie per produrle, dal cobalto al litio a grafite e nichel».

Nel frattempo, diversi marchi automobilistici si stanno preparano ad assemblare il pacco batteria “in casa”. Nessuna, però, produce gli elettrodi: «Sviluppare il pacco batterie – ha sottolineato ancora Bodoardo – richiede tempo, ma le case automobilistiche possono disporre del know-how adatto. Produrre una batteria da zero, invece, è proprio un altro mestiere, servono competenze legate all’ingegneria chimica e dei materiali che non appartengono all’automotive».

Cercasi ingegneri e tecnici
L’altra priorità, infatti, spiega ancora Silvia Bodoardo, se si vuole pensare a una filiera produttiva a medio termine è «iniziare oggi a formare, nelle nostre università, professionisti e tecnici specializzati, visto che in tutta Europa oggi non esiste un corso di laurea né un master per ingegneri di processo nell’ambito delle batterie. Tanto è vero che gli svedesi di Northvolt – che intende aprire la loro prima gigafactory da 20 gigawattora annui a Salzgitter, nella zona di Hannover, entro il 2024 – stanno andando ad assumere in Asia. E non serviranno solo gli ingegneri: anche l’elettrauto che oggi cambia la batteria della nostra auto dovrà essere in grado di gestirne una assai più potente per peso e volt». Per questo, il Politecnico di Torino si prepara a ospitare il primo master in Europa.

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