Bce e rialzo dei tassi: un conto di 50 mld di euro per le imprese Italiane
Le recenti iniziative della BCE in tema di tassi, e ancor di più le recenti comunicazioni poco chiare e ben poco tranquillizzanti della Presidente Lagarde si traducono per le imprese Italiane in un conto di quasi 50 mld di € in interessi
di Roberto La Caria
3' di lettura
Le recenti iniziative della BCE in tema di tassi, e ancor di più le recenti comunicazioni poco chiare e ben poco tranquillizzanti della Presidente Lagarde si traducono per le imprese Italiane in un conto di quasi 50 mld di € in interessi.
Il debito delle imprese Italiane, che sfiora i 750 Mld €, genererà nel 2023 interessi passivi stimati in circa 35-40 Mld di € considerando un tasso medio del 4,50% come somma tra Euribor e Spread, per arrivare dopo gli annunciati aumenti del prossimo luglio a un tasso per le aziende tra il 5,5% e il 7% a seconda del rating, con picchi superiori al 8% per le aziende meno “virtuose” dove lo spread applicato raggiunge il 4%.
Ciò significa che il conto per le aziende Italiane nel 2024 raggiungerà i 50Mld di €, con un aumento di oltre 30Mld rispetto al 2022.
Questa politica rialzista della BCE segue un triennio di vera e propria “istigazione” al debito, determinata dagli incentivi c.d. industria 4.0 che, se da una parte hanno stimolato la crescita e l'innovazione, dall'altra hanno spinto le aziende ad indebitarsi favorite anche dai tassi vicini allo zero.
Altrettando la facilità di ricorso al debito determinata dai c.d. “prestiti Covid” con garanzia MCC ha fatto aumentare significativamente la massa debitoria delle aziende. Ora questo debito “presenta il conto”, stravolgendo in modo determinante i business plan a 3-5 anni redatti nell'ultimo biennio e mettendo in discussione tutta la pianificazione finanziaria relativa.
È evidente come questa politica, che poco ha a che fare con la tanto declamata missione della BCE di “tenere i prezzi sotto controllo”, porterà ad una contrazione economica rilevante, se non ad una vera e propria recessione, attribuendone la responsabilità alla inflazione.
Va però chiarito che nel mentre gli Stati Uniti fronteggiano un fenomeno inflattivo “classico”, ovvero determinato da una economia in forte crescita con aumento della domanda e disponibilità di denaro che deve essere combattuta con l'aumento dei tassi, in Europa lo scenario è completamente diverso.
Il fenomeno di aumento dei prezzi che viene rilevato come inflazione è in realtà un aumento dei costi (e quindi dei prezzi) determinato dall'aumento delle materie prime e soprattutto dei costi energetici (fenomeno non accaduto in USA che può contare sull'indipendenza energetica). Nulla ha a che vedere con un fenomeno espansionistico, anzi. Recentemente, di fronte a tali osservazioni la Presidente Lagarde ha persino sostenuto che si tratti di “inflazione da profitti”, ovvero generata dall'aumento dei profitti delle aziende, considerazione valida se limitata al comparto delle società energetiche o del sistema bancario, ma non certo applicabile alle imprese che operano nel “mondo reale”.
È evidente pertanto che la significativa riduzione del potere di acquisto delle famiglie e l'inevitabile riduzione o blocco degli investimenti porterà ad una contrazione dei consumi e quindi della produzione industriale, oltre a ridurre lo sviluppo tecnologico e l'evoluzione verso i così tanto declamati e richiesti criteri ESG; una contraddizione di fatto quindi tra le necessità di sviluppo sostenibile e reshoring industriale tanto care alla UE e il comportamento della stessa BCE che disincentiva gli investimenti.
Il fenomeno non è ancora così evidente in Italia, anche se i dati sull'inflazione di maggio parlano già di una stabilità sul mese e di un tasso del 7,3% su base annua con una inflazione acquisita al 5,6% e un dato tendenziale al 6,3% nel 2023.
Tiene ancora la produzione industriale, anche se maggio 2023 mostra un ulteriore calo dell'1,9%, portando il dato da inizio anno al -2,9% (dati ISTAT) in considerazione che un parte significativa della produzione industriale Italiana riguarda beni durevoli e di investimento, e che quindi si sta ora evadendo il portafoglio ordini acquisito negli ultimi 6-18 mesi.
Se si misura l'andamento invece del portafoglio ordini che determinerà il dato prospettico della produzione industriale, questo è già in riduzione da oltre un trimestre con un accorciamento significativo del tempo medio di copertura.
È evidente, pertanto, come la politica della BCE di “inseguire” le scelte della FED Americana stia impattando sull'economia europea, e in particolare sugli oneri finanziari delle aziende italiane.
Sarà poi da verificare quale sarà l'impatto sul sistema creditizio di questa tendenza; le banche stanno già significativamente riducendo i loro impieghi e soprattutto stanno rendendo i criteri di accesso al credito sempre più restrittivi, evidentemente in preparazione di un forte impatto in termini di UTP e NPL nei prossimi mesi causa l'incapacità per le aziende (e le famiglie) di rimborsare puntualmente il debito.
Risulta pertanto necessario per le imprese italiane redigere da subito un piano strategico e un business plan a 3-5 anni che tenga conto del mutato scenario e soprattutto della necessità di rivedere la pianificazione finanziaria per affrontare i prossimi 24-36 mesi almeno con la tranquillità finanziaria.
Socio e Amministratore Delegato di Studio Temporary Manager
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