La Bce non delude: potenzia il Qe pandemico con altri 600 miliardi e lo proroga di almeno 6 mesi
La Bce rilancia gli acquisti di debito per l'emergenza pandemica. Francoforte ha aumentato di 600 miliardi di euro il 'Pepp', portando il totale a 1350 miliardi di euro
di Riccardo Sorrentino
2' di lettura
Un quantitative easing ancora più intenso per sostenere la ripresa. La Banca centrale europea ha aumentato di 600 miliardi il suo Pepp, il piano pandemico di acquisto di titoli, portandolo a 1.350 miliardi. Durerà inoltre almeno fino a giugno 2021, e non più fino a dicembre 2020. Sono invece rimasti invariati – malgrado le attese di alcuni analisti e investitori – i tassi di interesse: a quota zero il tasso di riferimento, e al -0,50% il tasso sui depositi presso la Bce.
L’obiettivo è «migliorare le condizioni di finanziamento per l’economia reale e in particolare per le imprese e le famiglie». Gli acquisti del Pepp continueranno a essere realizzati «in modo flessibile», in modo da «ridurre in modo significativo i rischi a una trasmissione senza intoppi della politica monetaria», per esempio a causa di un eccessivo ampliarsi degli spread. Cade inoltre ogni riferimento – nel comunicato ufficiale – ai rischi posti dalla pandemia , ma anche alla necessità di «assicurare un funzionamento senza intoppi dei mercati finanziari»: l’enfasi è ora riservata alla ripresa e ai prezzi.
Il motivo della decisione è semplice: le condizioni finanziarie di Eurolandia sono troppo rigide rispetto alle necessità della politica monetaria. Qualche giorno fa Isabel Schnabel, che siede nel consiglio direttivo, aveva ricordato che in circostanze simili la Bce è chiamata a intervenire.
Le componenti delle condizioni finanziarie - cambio, Borse e soprattutto rendimenti - sono tutte insoddisfacenti. Il cambio effettivo dell’euro è in rialzo da qualche settimana, mentre gli indici di Borsa per quanto meno rilevanti in Eurolandia rispetto agli Usa sono sì in lenta ripresa, ma restano a livelli più bassi rispetto a quellli della prima metà di febbraio.
I rendimenti dei bond – la componente più importante – sono infine tutti superiori a quelli del 28 febbraio, quando la crisi del coronavirus era iniziata solo in Italia. Quelli a breve termine, che sentono immediatamente l’impatto della politica monetaria, sono addirittura superiori a quelli del 2 gennaio. Per i soli titoli con rating AAA la situazione è del tutto analoga (anche se i livelli della curva sono, evidentemente, più bassi).
È vero che questi rendimenti segnalano anche l’aumentato rischio di default, ma la politica monetaria è ultraespansiva, e a ragione, e richiede un costo del credito più basso per essere efficiente: sembrano prevalere le pressioni al ribasso dei prezzi, anche se i dati sono ancora imprecisi, e il rischio di deflazione si ripresenta.
La domanda è ancora bassa, l’attività economica è piuttosto lenta e la ripresa potrebbe non essere sufficientemente forte da recuperare rapidamente i livelli precrisi. Il forte rialzo dei prestiti degli ultimi due mesi segnala più che altro la necessità di liquidità, da parte delle imprese per superare la fase di “ibernazione” dell’economia. Non ancora si sono del tutto manifestati, inoltre, gli effetti sul mercato del lavoro (sul quale i dati restano imprecisi per gli effetti del lockdown).
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