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Becce: «Limitare lo sviluppo del porto significa atrofizzare Venezia»

Il presidente della Venice port community risponde all’allarme Unesco sulla città

di Raoul de Forcade

Il presidente della Venice port community risponde all’allarme Unesco sulla città

3' di lettura

«Venezia storicamente deve le sue fortune al porto. Limitarne lo sviluppo e il funzionamento vuol dire atrofizzare la città e la sua economia. La ricetta non risiede nell’immobilismo, ma in una gestione razionale delle risorse, nel pieno rispetto dell'ambiente e della sostenibilità della laguna. L’Unesco, le istituzioni e le sigle ambientaliste non sono nemici ma interlocutori con cui dialogare, lasciando, però, da parte gli slogan».

Alessandro Becce, a nome della Venice port community - di cui è presidente e che rappresenta 46 operatori, fra aziende e associazioni di categoria, tra cui Confindustria, Cna, Confcommercio, Confartigianato e Confesercenti - risponde con queste parole, e con i numeri, alla raccomandazione dell’Unesco d’inserire Venezia nella lista del patrimonio mondiale in pericolo, visto che, secondo l’organismo, per lottare contro il deterioramento del sito causato dal turismo di massa e dal cambiamento climatico, sono stata prese misure «insufficienti».

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Il porto garanzia per il futuro

«La storia e il futuro di Venezia - sottolinea Becce - passano per il porto. La laguna è frutto degli interventi dell’uomo e la manutenzione dei canali da sempre è stata una prassi consolidata e ordinaria. Nonostante lo scetticismo iniziale, il Mose sta mostrando la sua efficacia nel coniugare l’operatività del porto con la protezione della città dalle maree anomale, mitigando gli effetti dell’innalzamento prospettico del livello del mare Adriatico. Dobbiamo però avere il coraggio di progettare sin d’ora il porto del futuro, guardando anche a soluzioni al di fuori della laguna, integrate con il porto attuale».

Insomma, secondo Becce occorre puntare, per il futuro di Venezia, non solo sulla salvaguardia della laguna ma anche sullo sviluppo industriale e commerciale della città, garantito proprio dal suo storico scalo. «Nei prossimi anni - aggiunge - sono previsti oltre 3,5 miliardi di euro di investimenti. Di cui 1,5 da fondi pubblici, a cui si aggiungono oltre 2 miliardi privati, 1,6 da parte di gruppi industriali e 500 milioni stanziati dalle imprese dei terminalisti portuali. I privati, dunque, sono pronti a fare la propria parte».

Il ruolo della politica

Ma, afferma, «serve una visione, da parte della politica, che punti sullo sviluppo del porto e affronti le principali sfide: manutenzione dei canali, piano morfologico, gestione fanghi, ripristino della navigabilità del canale Vittorio Emanuele, e completamento del Mose. Senza dimenticare le procedure di funzionamento, la sincronizzazione dei servizi tecnico nautici con copertura 24 ore su 24, le concessioni e la necessaria chiarezza del quadro normativo».

Il Paese, secondo Becce, « ha bisogno di una strategia di lungo periodo che miri a una crescita armonica e sostenibile del porto di Venezia nei prossimi decenni. L’hub portuale gioca, infatti, un ruolo strategico non solo con le crociere ed il turismo, ma rappresenta uno snodo fondamentale nel comparto delle merci varie, alimentando una quota importante dell’industria siderurgica del Nord Italia; per non parlare dell’agroalimentare, dell’impiantistica in esportazione e dei container».

Pnrr e comunità energetiche

Grazie anche alla recente rimodulazione del Pnrr, riflette Becce, «il futuro dei porti sarà sempre di più orientato ad uno sviluppo integrato col territorio attraverso le comunità energetiche. E Venezia, da questo punto di vista, ha grandi potenzialità, dovute sia agli investimenti di riconversione del comparto industriale, sia alla produzione di energie rinnovabili correlate all’ampia disponibilità di aree coperte dei magazzini per le merci varie».

A Venezia, conclude il presidente della Port community, «viviamo una situazione paradossale, con il concorso di idee (per la realizzazione di attracchi per crociere e container fuori dalle acque protette della laguna, ndr) bloccato (dal Tar, ndr) e i dragaggi all’impasse, con un piano per identificare le aree di conferimento fermo da 20 anni. Intanto, nelle altre città-porto, Genova e Trieste fra tutte, non stanno certo a guardare. Lì si sta cercando di portare avanti una visione prospettica di 50-100 anni». Anche Venezia, secondo Becce, dovrebbe fare così.

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