Beirut Art Fair rivela l’arte emergente
Alla manifestazione hanno partecipato 55 gallerie da 18 paesi di cui 33 nuove. Sono arrivati 42.000 visitatori, molti musei e collezionisti internazionali e dell’area. Vivace l’offerta in città, buoni gli acquisti
di Hannah Jacobi
8' di lettura
“Contemporaneo, contemporaneo, contemporaneo”, così Joanna Abou Sleiman-Chevalier, direttrice artistica della Beirut Art Fair (BAF) ha descritto l'approccio della 10ª edizione che si è tenuta dal 18 al 22 settembre 2019 alla Seaside Arena nel centro di Beirut. Dopo anni in direzione del moderno, la fiera, fondata dalla direttrice Laure d'Hauteville nel 2009, quest'anno doveva avere un'aria di novità. Ciò si è ottenuto grazie ad un ricambio delle gallerie: hanno partecipato 33 nuove gallerie, ma il numero totale ( 55 da 18 paesi) non ha superato in modo significativo quello dell'anno scorso perché è stato effettuato uno scambio di oltre la metà delle gallerie partecipanti. “Come se avessimo una fiera completamente nuova” ha commentato Abou Sleiman-Chevalier. Tra le nuove gallerie internazionali c'erano nomi noti come Galleria Continua, Primo Marella, kamel mennour (Parigi e Londra) e Wentrup Gallery (Berlino). “Siamo fieri di avere tante gallerie nuove di alto livello” ha detto la direttrice artistica, “ma l'impronta della fiera rimane l'arte del Medio Oriente e del Magreb. L'arte della regione è fortissima al momento, ad esempio alla 58ª Biennale di Venezia ”. Pensiamo, per esempio, a nomi come Lawrence Abu Hamdan (1985), Tarek Atoui (1980) e Larissa Sansour (1973). “È una fiera di scoperte!” ha continuato Abou Sleiman-Chevalier. “Non potendo competere con le grande fiere internazionali, il nostro valore aggiunto è far conoscere a collezionisti e professionisti una scena artistica emergente”.
Le mostre accanto alla fiera. La fiera non lascia solo alle gallerie il compito di illustrare la scena emergente. La piattaforma “Revealing” sponsorizzato dalla Société Générale de Banque au Liban SGBL ha presentato una mostra curata da Rachel Dedman con dieci giovani artisti dalla regione, fra l'altro del Libano, Marocco e Iran. Come Hussein Nassereddine (1993), che traduce la sua arte poetica in installazioni, immagini e testi, Ghita Skali (1992), che trova i suoi concetti dall'ambiente quotidiano, e Hadi Fallahpisheh (1987), che sviluppa il suo complesso lavoro dalla fotografia alla performance.
Quando Abou Sleiman-Chevalier parla di artisti emergenti, non intende solo gli artisti giovani, ma anche le riscoperte del passato. L'artista libanese Hussein Madi (1938) non deve essere riscoperto, è conosciuto e affermato anche a livello internazionale. Ma il corpo di opere “Unexpected Trove – The Unseen Works Of Hussein Madi” ha riportato all'attenzione del pubblico una serie di scene italiane dipinte nei suoi primi anni a Roma tra il 1964 e il 1970 riscoperte solo di recente, che formano un contrasto inaspettato con il suo approccio astratto sviluppato proprio in quel periodo. Dalla collezione di Philippe Jabre, invece, sono state esposte più di 100 opere dal '700 ad oggi che tracciano lo sguardo degli artisti occidentali sul Libano tra cui un disegno di David Hockney, “Lebanese Mountain” del 1966. A breve la collezione di Philippe Jabre avrà anche un proprio museo a Beit Chabab, un villaggio vicino a Beirut.
La scena artistica di Beirut. La Beirut Art Week , che si svolge parallelamente alla BAF, è un invito a scoprire la scena artistica di Beirut. Erano gli anni 1960 quando la scena artistica in Libano iniziò a fiorire: L'artista Helen Khal (1923-2009), oggi rappresentata fra l'altro dalla Mark Hachem Gallery , apriva insieme al marito, l'editore Yusef Khal, la Gallery One nel 1963. Janine Rubeiz gestiva Dar el Fan wa Adab, ritrovo per artisti e intellettuali che nel 1992 fu trasformato dalla figlia Nadine Majdalani Begdache nella Galerie Janine Rubeiz . Anche il Museo Sursock , creato nella dimora del collezionista Nicholas Sursock, morto nel 1952, ha aperto nel 1961, istituendo un salone autunnale annuale che divenne uno degli eventi artistici più importanti. Esporre qui era un must per ogni artista, compresi i noti artisti libanesi Shafic Abboud (1926-2004), Etel Adnan (1925) e Paul Guiragossian (1926-1993). Tuttora il museo è uno dei più importanti del paese. La guerra civile, che durò dal 1975 al 1990, ha fortemente limitato la scena artistica, anche se non l'ha soppressa completamente. La ripresa è iniziata negli anni '90, per esempio con l' Ayloul festival per gli artisti contemporanei che lavorano nel campo della danza, del teatro, dei video e delle installazioni. Con lo spazio non profit Ashkal Alwan, The Lebanese Association for Plastic Arts , ha aperto le porte nel 1993 a una delle più prestigiose istituzioni di arte contemporanea e di ricerca della regione, così come la rinomata Arab Image Foundation , fondata nel 1997 dall'artista Akram Zaatari (1966).
Zaatari è oggi uno dei più noti artisti libanesi, insieme a Rabih Mrouè (1967), Walid Raad (1967) e Marwan Rechmaoui (1964), tutti rappresentati da Andrèe Sfeir-Semler, gallerista libanese che ha aperto la Sfeir-Semler Gallery prima ad Amburgo e nel 2005 anche a Beirut. Nel suo ampio spazio museale mostra approcci minimalisti e concettuali di artisti internazionali e locali. Le istituzioni più recenti sono il Beirut Art Center – nato nel 2009 grazie all'iniziativa privata di vari soggetti tra cui Marwan T. Assaf e l'Association Philippe Jabre – e nel 2015 l' Aïshti Foundation dell'imprenditore e collezionista Tony Salamé. “La cosa importante è che esista una scena artistica molto attiva a Beirut” dice Sfeir-Semler. “Qui siamo più liberi rispetto ad altri paesi arabi, la censura c'è, ma non è dura come altrove. C'è una scena underground molto attiva. Ecco perché Beirut è rilevante ed è per questo che collezionisti e curatori vengono qui.”
Le gallerie locali in fiera. Sfeir-Semler, però, non era presente in fiera. “La fiera è importante perché ha portato molto pubblico internazionale e professionale a Beirut. Ma considerando il fatto che abbiamo uno spazio espositivo molto riconosciuto e frequentato in città, non sentiamo il bisogno di partecipare” ha commentato la gallerista. La galleria Mark Hachem con sede a Beirut, Parigi e New York, invece, ha partecipato fin dall'inizio. “Sta migliorando di anno in anno, diventando un importante punto di riferimento per l'arte in Medio Oriente. Sicuramente parteciperemo di nuovo” ha detto Beatrice Safieddine, direttrice della galleria. La galleria ha in programma esposizioni sia di artisti moderni che contemporanei e si concentra sull'arte cinetica e medio orientale. In fiera esponeva, oltre ai contemporanei, gli importanti artisti modernisti libanesi Hussein Madi, Alfred Basbous (1924-2006) e Chaoki Chamoun (1942). Ha venduto bene, tra l'altro cinque dipinti di Madi. Anche la Galerie Janine Rubeiz partecipa alla fiera da molti anni. La considera una piattaforma per presentare artisti libanesi e regionali ad un pubblico internazionale. Quest'anno la galleria ha collaborato con Rose Issa Projects di Londra nella sezione Projects della fiera, dedicata ai giovani, con l'artista britannico-iraniano Farhad Ahrarnia (1971) e l'australiano-iraniano Hossein Valamanesh (1949). Hanno venduto opere di Ahrarnia dalla serie “After Matisse” a prezzi tra 2.700 e 9.000 € a collezionisti privati.
La giovane galleria Marfa' Projects , fondata nel 2015 da Joumana Asseily, rappresenta artisti emergenti prevalentemente libanesi, tra cui Caline Aoun (1983), artista dell'anno della Deutsche Bank 2018/2019 , già in mostra al Maxxi di Roma nel 2018. In fiera ha presentato i giovani libanesi Stèphanie Saadé (1983), che aggiunge una componente estetica alle sue opere concettuali attraverso l'uso della foglia d'oro; Ahmad Ghossein (1981) che usa fotografie d'archivio per trattare il tema del sud del Libano; e la pittrice Talar Aghbashian (1981). Sabato, il penultimo giorno della fiera, la galleria aveva venduto delle fotografie di Ghossein e Saadé a prezzi tra 1.800 e 7.700 €. Ancora più giovane la Letitia Gallery , fondata solo due anni fa, che ha esposto vari artisti, tra cui Radhika Khimji (1979) proveniente dall'Oman, e Nathaniel Rackowe (1975) dal Regno Unito. Venerdì, terzo giorno della fiera, aveva venduto una piccola scultura dell'artista libanese Sirine Fattouh (1980), “The Sleepers” del 2019 per circa 1.300 €.
Oltre alle gallerie libanesi e alle numerose gallerie francesi presenti in fiera, c'era anche un focus sulla Giordania con cinque gallerie e la Jordan National Gallery of Fine Arts . La Karim Gallery di Amman, per la prima volta a BAF, aveva in portfolio una serie di artisti regionali come Bahram Hajou (1952), pittore curdo-tedesco, e Hani Zurob (1976), pittore palestinese. Nel giorno di sabato non aveva ancora registrato vendite.
Le gallerie internazionali. Due gallerie italiane con un portfolio globale hanno partecipato per la prima volta a BAF quest'anno: Galleria Continua e Primo Marella Gallery . Come player globale, Galleria Continua ha già molta esperienza con diverse fiere nella regione – Abu Dhabi, Dubai e Istanbul. Qui ha partecipato per esplorare anche la scena di Beirut, portando artisti internazionali. “Abbiamo cercato di creare un incontro inatteso” ha detto Lorenzo Fiaschi, cofondatore della galleria. Ci sono riusciti con tre artisti cubani, Carlos Garaicoa (1967), Yoan Capote (1977) e José Yaque (1985), la “Venere Cubana” (2015) di Michelangelo Pistoletto (1933) e varie opere di Pascale Mathine Tayou (1966) del Camerun. Tra le vendite ci sono “Islas (vestigios)” di Capote, che è stata venduta a 52.000 € a clienti incontrati già precedentemente in altre fiere. Primo Marella Gallery, avendo un focus sui mercati emergenti, sperava di conoscere i collezionisti della regione. “C'è un collezionismo privato di livello molto alto che è importantissimo nell'ambito locale” ha dichiarato Elena Micheletti. Con Abdoulaye Konaté (1953), Joël Andrianimearisoa (1977) – attualmente anche in mostra nel padiglione malgascio a Venezia – e il giovane Januario Jano dall'Angola (1979), la galleria ha scelto un programma globale e diversificato che si rifletteva anche nella fascia di prezzo da 10.000 a 50.000 €. Tra le sue vendite, che il venerdì erano ancora troppo poche, c'è stata anche un'opera di Konatè. “Finora abbiamo visto più collezionisti occidentali e sudamericani. I collezionisti libanesi sono ancora timidi con noi, per esempio, quelli che vanno allo stand di Marfa' Projects non vengono da noi”, ha osservato Micheletti.
Anche la Wentrup Gallery è venuta a Beirut per conoscere i collezionisti locali. “La maggior parte di quelli che hanno visitato il nostro stand erano francesi e alcuni libanesi” ha racconta Tina Wentrup. Hanno esposto alcuni dei loro artisti che hanno già successo al livello internazionale, come Nevin Aladag (1972) di origine turca. L'ultimo giorno della fiera la galleria era ancora in trattativa per la vendita di diverse opere. “È stato interessante avere una prima impressione della Beirut Art Fair, ma prendiamo in considerazione una seconda partecipazione solo se chiudiamo le trattative avviate in fiera”, ha concluso Wentrup. Con le gallerie Tafeta di Londra – che ha collaborato con Mark Hachem quest'anno – e Out of Africa di Barcelona, c'è stato anche un focus sulla scena artistica emergente nei paesi africani. “C'è sempre stato un forte legame tra i libanesi e il continente africano e BAF ci consente di promuovere un dialogo interculturale” ha detto Elodie Cassamajor di Tafeta. “È molto probabile che torneremmo per la prossima edizione”.
Il bilancio. Anche se le dichiarazioni dei titolari delle gallerie danno un'immagine mista riguardo alle vendite, l'organizzazione di BAF ha tracciato un bilancio molto positivo: 42.000 visitatori – in significativo aumento rispetto all'anno scorso –, il 95% delle gallerie ha venduto considerevolmente, visitatori da tutto il mondo, tra cui molte istituzioni internazionali come Macba di Barcellona, S.M.A.K di Gent, Louvre Abu Dhabi, Centre Pompidou e Musée du Quai Branly , e collezionisti dai paesi sudamericani, europei, mediorientali, dall'India e dagli Stati Uniti. Piuttosto sorprendente anche per la direzione artistica: “L'attuale crisi economica e la difficile situazione dovuta ai numerosi rifugiati di guerra nel paese rallenta tutto. Temevo su come sarebbe andata la fiera, ma abbiamo vendite migliori rispetto all'anno scorso” ha concluso Abou Sleiman-Chevalier. Addirittura ci sono stati problemi a trovare gli sponsor. Tranne le mostre, la fiera si è sostenuta grazie al noleggio degli stand – circa 380 € al metro quadrato e nella sezione Projects circa 3.450 € per uno stand di 9 metri quadrati – e dei biglietti, che venivano circa 9 €.
Per le gallerie locale, la fiera continua d'esser una piattaforma importante che attrae un pubblico e compratori internazionali. Dal punto di vista internazionale, Fiaschi di Galleria Continua ha riassunto: “C'è sicuramente un potenziale incredibile, la fiera si colloca in un contesto che vuole ricostruirsi, dinamico e che sa guardare a ciò che succede sulla scena internazionale” Tutti concordano su un punto: il più grande vantaggio della fiera è la città di Beirut con la vivace scena artistica e l'atmosfera piacevole.
loading...