Benessere mentale e organizzativo: tre suggerimenti pratici
Sentirsi autentici e accettati sul posto di lavoro porta a migliori prestazioni, maggior coinvolgimento, maggiore fiducia e fidelizzazione
di Eva Campi *
4' di lettura
Questa che stiamo vivendo non è soltanto la seconda ondata della pandemia, ma potenzialmente una vera e propria “seconda pandemia”: la fatica, lo stress accumulato, il trauma non ancora metabolizzato unito all’incertezza economica, i disordini sociali e politici stanno avendo complesse implicazioni sulla salute mentale, la mental health di tutti noi. Parlare di salute mentale è complicato. In un qualche modo usare un’espressione inglese sembra metterci al riparo dalle implicazioni scomode (a volte terrificanti) che il parlare di mente, psicologia e disagio psichico comporta. Il paradosso è che meno le persone ne parlano, più lo stigma cresce. Eppure, se non lo facciamo ora, quando lo faremo?
Dalle survey effettuate all’Istituto Superiore di Sanità, risulta che l’85% dei rispondenti o dei loro conviventi non ha avuto, durante il lockdown, sintomi ricollegabili a infezioni da Sars-CoV-2, mentre emerge un evidente impatto della pandemia sulla condizione di salute mentale, in termini di stress percepito e presenza di sintomi ansiosi e depressivi, con conseguente impatto sul benessere delle persone, in termini fisici e psicologici.
Ora, dire che il benessere delle persone ha un impatto sulla produttività e, in generale, sulle prestazioni lavorative in ogni ruolo, professione e settore economico, sembra quasi una banalità. Eppure, in questo momento, nonostante l’altrettanta evidenza del disagio mentale che sta attraversando il nostro Paese, succede che l’Ordine degli Psicologi debba manifestare davanti a Montecitorio con un bavaglio per “dare voce alla salute psicologica”, bisogno inascoltato.
Non riusciremo certo a dissolvere in poco tempo i paradigmi vetusti e i pregiudizi culturali, tuttavia esiste ora la possibilità di arginare il problema e fare in modo che il passaggio dal disagio al dolore psicologico non si manifesti, o sia quantomeno contenuto. Dobbiamo riprendere in mano quel concetto di benessere organizzativo come già descritto nel 2004 nella prima Direttiva Ministeriale per le P.A.: per benessere organizzativo si intende la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori che operano al suo interno.
Venivano già allora evidenziati gli elementi che favoriscono questo benessere: la motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità e la fiducia. In poche parole, una leadership efficace. La gestione di questi antecedenti, ora più che mai, è la chiave per arginare il malessere e il disagio psico-emotivo che le persone stanno affrontando.
I manager hanno la responsabilità nei confronti dei propri collaboratori di creare un ambiente aperto, inclusivo e sicuro che consenta loro di portare tutto di sé stessi mentre lavorano. Nel suo articolo “ We Need to Talk More About Mental Health at Work” (Dobbiamo parlare di più della salute mentale al lavoro), Morra Aarons-Mele condivide una ricerca che mostra che “sentirsi autentici e accettati sul posto di lavoro porta a migliori prestazioni, maggior coinvolgimento, maggiore fiducia e fidelizzazione e benessere generale”. I leader a tutti i livelli devono mettere la salute mentale “sul tavolo” (o meglio sullo schermo, visti i tempi) per parlarne, invitare altri a parlarne e lavorare attivamente per sviluppare risorse e piani per le proprie persone. Quindi come si inizia a parlare di un argomento che può far preoccupare anche il leader più coraggioso, di stare oltrepassando i limiti?
Il primo suggerimento è: iniziamo noi. È cosa comune chiedere ad un collega del suo ginocchio dopo una caduta oppure del suo mal di schiena da quando lavora da casa. Potremmo allora spingerci un po' più in là: “Sembra che il tuo mal di schiena stia migliorando. Questa è una buona notizia. Chissà che sollievo, ti sentirai più sereno, anche se questi sono momenti molto stressanti per tutti.” Questo è un tipico “apriporta”. Occorre iniziare con piccoli passi.
Riflettiamo sul fatto che, anche se le relazioni con un collaboratore sono, di solito, più formali e limitate allo stretto necessario (del tutto naturali in tempi comuni), potrebbe essere che questa attitudine, in questo momento, determini la percezione di una bassa sicurezza psicologica da parte del collaboratore stesso, vale a dire la sensazione di non potersi permettere di parlare di alcuni aspetti della sua vita perché considerati dei tabù portatori di uno stigma.
Il secondo suggerimento è quello di non cercare di aggiustare le persone. Infatti, quando avvertiamo di venire considerati “guasti” (rotti, inadatti) di certo ci allontaniamo piuttosto che chiedere aiuto. Facciamo in modo di essere un ponte verso le risorse delle persone, non le risorse stesse o i risolutori dei problemi degli altri.
Il terzo suggerimento è quello di ascoltare, ma davvero. Altra banalità? No. Ora che noi abbiamo le nostre preoccupazioni, ascoltare gli altri è più difficile. E per farlo bene, dovremmo, in primis, noi stessi trovare dei contenitori di ascolto che ci consentano di centrarci e sentirci sicuri a nostra volta. La difficoltà maggiore nell'ascolto attivo è quella di concentrarsi sugli altri, sulle loro esperienze, assicurandosi di separare i nostri vissuti da quelli degli altri. Ascoltiamo e non lasciamoci impantanare nei dettagli che possono distrarci dal quadro generale di ciò che sta succedendo al nostro team, al nostro collaboratore. Notiamo i cambiamenti nelle espressioni facciali, che possono darci alcuni indizi su ciò che la persona sta effettivamente provando, il che potrebbe essere diverso da ciò che sta dicendo.
Riconosciamo che quando iniziamo a pensare a noi stessi, abbiamo smesso di ascoltare. Che si tratti di una mail urgente, di nostro figlio che sta chiedendo attenzione o del nostro stesso stress, meglio riprogrammare la conversazione per un momento in cui potremmo davvero occuparcene. La nostra disponibilità ad aprire una conversazione onesta sul benessere mentale con i nostri collaboratori, ma anche tra pari, è esattamente il tipo di regalo che così tante persone desiderano in questo momento e che probabilmente non si aspettano.
* Partner di Newton S.p.A.
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