Immobili e aziende

Beni sequestrati alla mafia: sconosciuti a due Comuni su tre

Censiti oltre 18mila immobili e 3mila aziende ma il 63% dei Comuni non ha le chiavi di accesso alla banca dati dell’Agenzia nazionale.

Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei

(Stefano Carofei / AGF)

3' di lettura

Due terzi dei Comuni con beni sottratti alla criminalità organizzata sul loro territorio non hanno accesso alle informazioni che li riguardano, mentre più di 18mila immobili e quasi tremila aziende aspettano di essere destinati e intanto rischiano di deteriorarsi. È il quadro che emerge dalla relazione finale dell’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati realizzata dal IX Comitato della Commissione bicamerale antimafia e approvata all’unanimità a inizio agosto che, oltre a evidenziare le criticità, indica soluzioni concrete come il vademecum per i Comuni con le istruzioni per il riutilizzo.

Le criticità

È lunga e circostanziata la lista dei problemi che impediscono un riutilizzo veloce ed efficiente dei beni oggetto di provvedimento giudiziario. Frutto di un lavoro di oltre due anni, la relazione tocca molti punti dolenti a cominciare dall’assenza di un quadro informativo completo relativo al numero e alla tipologia dei beni sequestrati e confiscati (carente per i procedimenti di prevenzione e inesistente per quelli sui processi penali).

Loading...

I beni da destinare censiti dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati è di 18.518 immobili e 2.929 aziende distribuiti in 2.176 Comuni. Un patrimonio superiore a quello destinato finora, pari a 18.897 beni e indicato nell’ultima relazione al Parlamento del ministero della Giustizia.

Uno dei nodi da sciogliere riguarda i fondi paradossalmente poco utilizzati, spesso a causa di procedure lunghe e complesse. Solo il 16% dei 68 milioni previsti dal Pon legalità 2014-2020 ha, ad esempio, «trovato effettivo impegno o pagamento».

Un altro problema è il deterioramento e la chiusura delle aziende colpite dai provvedimenti giudiziari, che riguarda anche imprese vitali e recuperabili. La ritorno alla legalità ha un costo (niente lavoro nero, trasparenza nelle forniture, pagamento di tase e contributi), ma la relazione sottolinea soprattutto la chiusura dei rubinetti del credito poiché le banche vedono nelle misure giudiziarie non un passo verso la legalità ma un aumento della rischiosità. A livello territoriale sono stati siglati accordi, anche molto efficaci fra l’associazione bancaria (Abi) e i tribunali che potrebbero essere portati a livello nazionale (si veda l’intervista) e il comitato «si aspetta» dalla Banca d’Italia direttive affinché gli istituti di credito diano «il necessario sostegno finanziario» alle imprese con un programma di prosecuzione approvato dal tribunale.

Oggetto di confisca sono anche i patrimoni liquidi (come conti, titoli, polizze, fondi di investimento) che confluiscono nel Fondo unico giustizia (Fug). Si tratta di 3,6 miliardi di euro destinati a scopi diversi - come la carta acquisti per i cittadini disagiati o l’assistenza alle vittime di violenza - e che il comitato propone di utilizzare anche per valorizzare i beni e come garanzia dei crediti alle aziende.

Il vademecum

Per spingere il recupero dei beni sottratti alla criminalità organizzata, nella sua relazione il IX comitato della commissione bicamerale antimafia propone una guida indirizzata agli enti locali, con informazioni e modelli di documenti utili per affrontare il percorso spesso tortuoso verso l’assegnazione.

Si parte da come individuare gli eventuali beni confiscati all’interno dei confini comunali. La strada è consultare la banca dati Open Regio sul sito dell’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati: il vademecum spiega come ottenere le credenziali (che oggi non ha il il 63% dei 2.176 Comuni con beni confiscati alla mafia) e come consultare la banca dati.

La guida riepiloga, poi, le finalità a cui può essere destinato il bene e indica il percorso da seguire per arrivare a utilizzarlo: dal sopralluogo (consigliato, anche se non previsto dalle norme) alla presentazione della “manifestazione di interesse” all’Agenzia (che deve includere i progetti di utilizzo). Inoltre, il vademecum illustra gli adempimenti per la gestione: i Comuni che intendono gestire direttamente i beni dovranno redigere un regolamento comunale ad hoc e accertarsi di avere i fondi; in alternativa, preparare i bandi e le convenzioni per l’affidamento ad associazioni o enti.

Infine, la guida fornisce alcuni “indirizzi utili” che i Comuni possono contattare in caso di difficoltà.

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti