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Benvenuti nella Fiction Economy. Come si è passati dal bisogno all’influenza dei valori

Il digitale ha generato una vera e propria fusione tra reale e virtuale portando il consumatore ad essere influenzato in modo consistente dalla parte più simbolica della realtà

di Matteo Scortegagna *

(vegefox.com - stock.adobe.com)

4' di lettura

Si sa che la pubblicità serve da sempre alle brand per aumentare le vendite del loro prodotto. Le campagne sono distribuite dal Media, realizzate dai Pubblicitari e pensate dai Marketer, gli uomini e le donne che nelle brand lavorano, dati alla mano e istinto maturato negli anni, per costruire le strategie che portano a migliorare le performance dei loro prodotti sugli scaffali.
Un mestiere giovane, quello del Marketing, che ha poco più di sessantanni e che negli ultimi tempi sta cambiando pelle. I marketer si trovano oggi in un contesto che si è davvero trasformato. Prima responsabile la trasformazione tecnologia e digitale. Le audience si sono frammentate. Non solo perché sono su più canali di comunicazione ma anche perché sono contemporaneamente su canali diversi. All’inizio del digitale la semplificazione era stata che “…sul digital stavano gli alfabetizzati digitali e i giovani, che non erano più in TV..”, oggi non è esattamente così.
Ci sono target diversi su canali diversi contemporaneamente. La stessa persona può essere in TV e su TIk Tok, lo stesso giorno ma in momenti diversi, tant’è che i social sempre più aggregano audience diverse attratte dal contenuto, non dal mezzo.
La complessità, quindi, è perlomeno doppia. Più canali e target che si travasano continuamente in modo liquido, cercando – a seconda della piattaforma di fruizione – di soddisfare bisogni differenti. Ma non basta.
I marketer hanno a che fare con i fantomatici big data. Una massa enorme di informazioni complesse e raffinate che si possono raccogliere grazie alla tecnologia ma difficili da utilizzare, talvolta non efficienti in termini di tempistica.
A questi due aspetti di innovazione, si deve sommare il tema della frammentazione delle risorse economiche. Se prima dell’avvento del digitale, il denaro destinato alla pubblicità serviva ad alimentare pochi silos di distribuzione, oggi viene inesorabilmente frammentato per alimentare tutte le piattaforme, rischiando di non far funzionare la strategia e il messaggio, tanto ben identificato e realizzato, in modo efficace (e misurabile). Il lavoro dei marketer, quindi, è davvero diventato più complesso e complicato. Costruire la strategia giusta, identificando il (o i) messaggio giusto si è trasformato in un lavoro oggettivamente più difficile.
Se, però, il punto fosse solo interno alle aziende, in termini di regole del gioco, competenze, mansioni e organizzazione, lo spazio per interpretare il cambiamento sarebbe forse sufficiente per cavalcare questo contesto così trasformato. Invece il digitale ha anche modificato la vita dei consumatori.
I consumatori, sono diventati più consapevoli, più interattivi, più alfabetizzati portandoli da un ruolo assolutamente passivo ad un ruolo da protagonista nelle attività di comunicazione. Il consumatore, non solo capisce, ma vuole approfondire, finanche chiede di provare il prodotto, recensirlo, condividere il suo punto di vista. Comprende la natura del messaggio, la giudica, la apprezza e pretende di partecipare.
Questa trasformazione viene definita da alcune ricerche la fiction economy. Il digitale ha generato una vera e propria fusione tra reale e virtuale portando il consumatore ad essere influenzato in modo consistente dalla parte più simbolica della realtà – cioè il messaggio pubblicitario in se.
Il suo essere continuamente nel virtuale e nel digitale, sempre in movimento, nei momenti di intrattenimento e persino in quelli familiari, lo ha portato a dare più valore agli aspetti simbolici e valoriali che appaiono nel virtuale e trovano concretezza nel reale.
Quello che teorizza la Fiction Economy, è che la decisione di acquisto non passa più solamente dal bisogno e dalla funzionalità del prodotto che si vuole vendere ma dalla sollecitazione del desiderio che inevitabilmente impatta intorno ad una sfera più consistente di chi ascolta.
Fino a poco tempo fa, quella decisione di acquisto si attivava per esigenze di utilità, per quanto effimera, e la pubblicità aveva il compito di valorizzare il bisogno per aumentare l’appetibilità del prodotto.
Oggi, invece, non basta più. E non si tratta di assuefazione o di discernimento, anzi.
La pubblicità, paradossalmente è diventata parte del quotidiano di tutti e la pretesa della qualità del messaggio è diventata una vera e propria richiesta da parte delle audience.
Il fuoco è assecondare questo incontro tra reale e virtuale lavorando per far emergere i valori e i simboli che ogni Brand ha al suo interno. Del resto il marketing stratifica, ogni giorno, ogni anno, l’equity della sua marca. La affina, la rende consistente, la rende contemporanea, aggiungendo sempre un tassello in più, modificando il posizionamento e consolidando il suo racconto che – nel tempo – diventa heritage. Ma mentre fino ad ora questo era, primariamente, il punto di accesso per l’identificazione di uno slogan utile ad attivare il bisogno, oggi diventa il messaggio stesso necessario per arrivare al desiderio.
Perché, in quei valori, il consumatore si specchia e si ritrova e decide quindi di sceglierti.
Perché gli consente di partecipare ai tuoi valori, siano essi di sostenibilità o inclusione, semplicemente acquistando il tuo prodotto. Perché lo fa sentire protagonista.
L’attenzione alle differenze che un prodotto può offrire è diventata sempre meno presente. L’attenzione al prezzo è dettata dalle necessità ma – ancora una volta – le distanze tra una marca e l’altra sono sempre più risibili.
Quello che rimane è l’attenzione ai valori e a come la Brand interpreta il contemporaneo e di come riesce a farlo in modo autentico
Per questa ragione la sensazione è che le Brand, sempre di più, debbano portare i loro investimenti (di tempo e di denaro), a valorizzare la propria equity, i progetti di sostenibilità o di diversity per trasformarli in progetti di comunicazione consumer, vere e proprie campagne di comunicazione.
In questo modo riusciranno a parlare all’audience frammentata e diffusa, ad avere consistenza per presidiare tutti i canali e ad avere longevità che dura nel tempo, perché un valore non è più la faccia dietro ad un bisogno impulsivo dettato da una stagione di consumo ma il motore di un desiderio di partecipazione ad un mondo che il digitale racconta ossessivamente tutti i giorni, coinvolgendo chiunque!

Matteo Scortegagna è co-founder di Next14 agenzia integrata di marketing e comunicazione

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