Berlinale: «Swimming Out Till the Sea Turns Blue», l'evoluzione della Cina in un toccante documentario
Nella sezione Berlinale Special è stato presentato il nuovo lavoro di Jia Zhang-ke, regista tra i più prestigiosi del cinema cinese contemporaneo
di Andrea Chimento
2' di lettura
Jia Zhang-ke si conferma uno dei più importanti registi asiatici in attività con il suo nuovo lavoro «Swimming Out Till the Sea Turns Blue», tra i primi film presentati al Festival di Berlino di quest'anno.
Inserito nella sezione Berlinale Special, è un lungometraggio in cui l'autore cinese racconta il festival di letteratura, da lui stesso ideato, che ha luogo nello Shanxi: proprio in questa provincia, dove è nato, il regista ha girato il suo primo lungometraggio «Xiao Wu» e altri suoi lavori come «Platform» e «Mountains May Depart».
Diversi notevoli scrittori sono stati in questo luogo e hanno raccontato la realtà della vita rurale nei loro poemi, nei loro romanzi e nelle loro storie, spesso lasciandosi ispirare direttamente dalla natura circostante.
Jia Zhang-ke ha creato il festival di letteratura nel 2019 e il documentario punta soprattutto sulle parole di tre scrittori particolarmente stimati, come Jia Pingwa, Yu Hua e Liang Hong, appartenenti a tre generazioni diverse.
I cambiamenti avvenuti in Cina
Quello che potrebbe apparire come un semplice documentario elogiativo di una kermesse da promuovere, si trasforma presto in una riflessione sui cambiamenti avvenuti in Cina, sull'urbanizzazione, la Rivoluzione Culturale, la riforma economica e la modernizzazione in generale.
Spunti che emergono sì dagli scrittori intervistati, ma sui quali Jia Zhang-ke continua incessantemente a lavorare, sia che stia girando un film di finzione, sia che sia alle prese con un documentario, come in questo caso.
Celebre per lungometraggi di finzione come «Still Life» (Leone d'oro a Venezia nel 2006), il potentissimo «Il tocco del peccato», o il più recente «I figli del fiume giallo» (uscito lo scorso anno nelle nostre sale), Jia Zhang-ke si è spesso dedicato anche al linguaggio documentario, con titoli come «Dong», «Useless» o «24 City».
Finzione e documentari
Indubbiamente i suoi lavori più narrativi possono risultare maggiormente incisivi e raffinati nella messinscena, ma colpisce molto vedere come per questo regista la modalità di ripresa cambi poco: il suo cinema resta sempre attento a esplorare l'influenza dei cambiamenti politici e urbanistici del suo paese natale sulla vita tanto delle città e della natura, quanto di ogni singolo individuo.
Un cinema sempre in grado di interessare e far riflettere, che conferma inoltre l'importanza delle produzioni cinesi nell'industria contemporanea (si pensi anche al bellissimo «So Long, My Son» di Wang Xiaoshuai, presentato proprio un anno fa sempre al Festival di Berlino).
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