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L’Unione europea sta premendo troppo l’acceleratore sulla strada verso la decarbonizzazione e ora rischiamo di schiantarci. Sono diagnosi molto simili quelle espresse da Franco Bernabé e Alberto Clò, economisti di formazione ed esperti di lungo corso sia di energia che di politiche industriali, messi a confronto durante il festival trentino.
Entrambi nutrono preoccupazioni per l’industria europea, travolta da costi e obblighi che favoriscono l’avanzata della Cina, per i cittadini costretti a sacrifici sempre più pesanti e per la tendenza a trascurare le misure di adattamento al cambio del clima, con cui prevenire o tamponare gli effetti di eventi meteo estremi, come quelli che hanno colpito la Romagna.
L’attuale esecutivo Ue viene accusato di «fondamentalismo ecologico» e di «bulimia regolatoria» dal professor Clò, docente all’università di Bologna, direttore della rivista Energia (fondata con Romano Prodi) e ministro dell’Industria negli anni ’90, in un governo tecnico guidato da Lamberto Dini.
Ma non è affatto tenero con Bruxelles – che «ormai ne inventa di tutti i colori» – nemmeno Bernabè, manager in passato al timone anche di Eni, che oggi da presidente di Acciaierie d’Italia si trova al centro di un’enorme ed emblematica sfida che è insieme ambientale, industriale e sociale. «Per la transizione – dice – i tempi non possono essere quelli dettati dalla Ue Non si può banalizzare tutto dicendo “si può fare domani”, servono prospettive di medio termine, fissare obblighi compatibili con i tempi industriali, che sono veloci ma richiedono comunque pianificazione».
A Trento Bernabè concede poche parole alle delicate vicende dell’ex Ilva, per escludere come «impossibile» l’ipotesi di fermate imminenti a Taranto, dopo l’ultimatum lanciato dal Comune per un aumento delle emissioni di benzene: «sfori temporanei», di un impianto che ha «emissioni molto al di sotto dei limiti di legge e più piccole di quanto inaliamo mentre facciamo il pieno di benzina».
Al di là del caso ex Ilva, il manager non si tira comunque indietro sul tema della siderurgia e degli altri settori con CO2 “hard to abate”, difficile da ridurre. Per l’acciaio, responsabile del 7% delle emissioni globali, non ci sono soluzioni a buon mercato: «Si può usare l’idrogeno, ma in Europa oggi la produzione è 15-18 volte più costosa che negli Usa e di quello verde per ora se ne fa ben poco».
C’è anche il tema dell’acqua per l’elettrolisi: «Se si desalinizza quella del mare bisogna smaltire brine fatte da sali e altri minerali in polveri sottilissime e pericolose». Se si spargono in giro non cresce più nemmeno un filo d’erba.
Quello della siderurgia è solo un esempio dei tanti ricordati a Trento. La decarbonizzazione a tappe forzate «colpisce soprattutto le famiglie più povere, è come una tassa recessiva», afferma Clò. Per le imprese «ci sono costi esorbitanti, che rischiano di distruggere l'industria europea a vantaggio soprattutto di quella cinese». Pechino stravince nel campo delle energie pulite e delle batterie: «Controlla tutta la filiera e le materie prime – ricorda il professore – Finiremo col passare dalla padella del gas alla brace delle rinnovabili cinesi»
Bernabè sposta invece l’attenzione sull’auto elettrica: «Sono 4 pezzi di lamiera attaccati a 300-400 chili di batteria spesso prodotta in Cina. E poi parliamo tanto di Tesla, ma ci scordiamo che 3-4 case cinesi già oggi si spartiscono l’80% delle vendite di auto elettriche nel mondo. L’Europa rischia di perdere non solo l’indotto ma tutta l’industria automobilistica, un problema sociale pazzesco».
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