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Bernardo Mattarella: «Per sfruttare al meglio i fondi Ue deve migliorare la qualità della Pa»

L’amministratore delegato di Mediocredito Centrale discute della sua esperienza, al centro degli snodi vitali dell’economia, tra pubblico e privato

di Paolo Bricco

Ocse: per l'Italia una Pa efficiente e' la priorita' per la ripresa

6' di lettura

L’appartamento di Bernardo Mattarella e della sua famiglia è in un elegante comprensorio di Monte Mario. La quiete di un mezzogiorno di prima estate si sovrappone al perturbante ricordo dei colpi di pistola e di mitra dell’assalto delle Brigate Rosse ad Aldo Moro nella vicina Via Fani, nel rincorrersi fra le epoche che a Roma – fra pensiero e memoria – si incarnano sempre in un eterno presente. «Nel 1978 avevo solo undici anni – ricorda Mattarella – ma ho ancora bene in mente le foto in bianco e nero scattate dai fotografi alla signora Eleonora, la moglie del presidente della Democrazia Cristiana, sul balcone a un piano basso del loro condominio di Via del Forte Trionfale e pubblicate sui giornali della sera, in quei giorni drammatici per la nostra storia».

A Roma Nord le cicale danno un senso di prima campagna, che non stona in mezzo alle palazzine abitate fin dagli anni 60 dalla borghesia degli studi professionali e della pubblica amministrazione, della giustizia e dei ministeri che, in questa città, compongono un corpo indistinto. La luce, quest’oggi, è la luce del Sud e del Mediterraneo. Non una nuvola è nel cielo. Bernardo Mattarella è l’amministratore delegato del Mediocredito Centrale, una delle principali istituzioni finanziarie pubbliche.

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Diagolo incessante tra l’Italia e il Mezzogiorno

La tavola è preparata sulla terrazza di casa. Tutto nella sua abitazione – dal punto di vista estetico e dei sapori, dei profumi e degli affetti, delle cose dette e delle cose non dette – compone un dialogo silenzioso ma incessante fra la capitale e Palermo, l’Italia e il Mezzogiorno, la convivialità romana e l’insularità dell’anima, la modernità dell’economia e del diritto e l’antica serenità delle radici. La presenza gentile della moglie – Claudia Palazzolo, palermitana, si sono conosciuti a Erice, hanno un figlio, Enrico, al secondo anno di Economia alla Luiss – è ovunque.
«Va bene, per iniziare, questo Salealto di Cusumano? Arriva da Ficuzza, in provincia di Palermo, sulla Piana degli Albanesi. È un vino bianco, da servire freddo, fatto con tre uve siciliane: Insolia, Grillo e Zibibbo», dice Bernardo porgendomi il calice. Altroché se va bene. Fresco è perfetto. In un pranzo incentrato sulla tradizione culinaria siciliana, il Salealto accompagna delle polpettine di melanzane.

La “dinastia” Mattarella

Bernardo è cresciuto nel quartiere Prati, dove ha frequentato, dalle elementari al liceo classico, un istituto privato gestito da una congregazione religiosa straniera, i Christian Brothers of Ireland. Mentre beviamo il Salealto, lui esprime la geometrica precisione che si ritrova negli intrecci delle pagine di Federico De Roberto e di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in cui i nomi e i luoghi ricostruiscono identità personali e destini familiari: «Mio padre Nino è un avvocato di diritto del lavoro. Ha insegnato prima all’università di Macerata e poi alla Sapienza. Mio nonno Bernardo, che già era stato membro dell’Assemblea costituente fra il 1946 e il 1948, insieme alla moglie Maria Buccellato si trasferì definitivamente da Palermo a Roma negli anni 50 per fare prima il ministro della Marina mercantile e, poi, il ministro dei Trasporti, del Commercio con l’estero e delle Poste. Mio padre e sua sorella Marinella, crescendo, scelsero di rimanere a Roma. Invece, i loro fratelli Piersanti e Sergio decisero, da giovani, di tornare a Palermo. Mia madre Mariuccia, per lungo tempo, è stata a casa e poi ha lavorato come impiegata al Cnr. Si sposò giovanissima e, come succedeva a tante ragazze di allora, non frequentò l’università. Lei appartiene alla famiglia degli Ziino. Suo bisnonno, Ottavio Ziino, era l’avvocato della dinastia dei Florio. Un giorno, dopo un negoziato andato a buon fine, il vecchio Vincenzo Florio gli diede una busta chiusa. Come si usava allora, Ottavio Ziino non la aprì di fronte al suo cliente. Arrivato a casa, scoprì che il compenso era così spropositato da potersi costruire un palazzo nel cuore di Palermo, vicino a quella che oggi è Piazza Politeama».

Sulla tavola, i piatti sono in ceramica di Caltagirone e di Erice. Il primo è una pasta con l’uovo di tonno, che riesce a essere insieme delicata e dal sapore forte: «Ho un pusher che me lo manda da Marzamemi», scherza. E aggiunge: «L’uovo di tonno va sminuzzato dentro l’olio. Questo va fatto al buio. E, al buio, va lasciato riposare, perché sennò si ossida».

I luoghi e i nomi, in questa storia, sono fondamentali. I luoghi: «Anche se sono nato e cresciuto a Roma, ho passato tutte le vacanze da ragazzo in Sicilia dai nonni paterni e dai nonni materni, fra Palermo e Erice». E i nomi. Con quella sciarada che – in un lampo siciliano – ti fa passare dal razionalismo di Leonardo Sciascia alla fantasmagoria à la García Márquez: «Mio nonno si chiamava Bernardo. Io mi chiamo Bernardo. I figli di Piersanti e di Sergio si chiamano Bernardo. E tutti e tre noi cugini tifiamo per l’Inter». Dopo la maturità classica al Marcantonio Colonna, Mattarella si è laureato in Economia e commercio alla Sapienza, con una tesi in tecnica bancaria. «La mia prima occupazione – racconta – fu nello studio di un commercialista romano che, a fronte di sei mesi di lavoro, mi pagò con due tramezzini. Poi, sono entrato alla Arthur Andersen: il primo anno e mezzo nella revisione, i successivi cinque e mezzo nella consulenza».

I primi passi nel mondo del lavoro

È l’inizio degli anni 90. La legge Amato del 1990 sulla foresta pietrificata del credito nazionale ha come perno la distinzione fra le fondazioni-azioniste e le banche quali soggetti di mercato. Mattarella conosce la realtà italiana – nella sua commistione fra economia e società – e coglie le tendenze evolutive imposte dal legislatore: «Il mio primo audit fu alla Cassa di Risparmio di Foligno. Nel meccanismo di separazione fra fondazioni e società per azioni, lavorai anche sulla Cassa di Risparmio di Pesaro, e su quelle di Perugia e Jesi».

In attesa che arrivi il secondo, mangiamo entrambi il pane fatto in casa da lui: «Ho imparato durante il primo lockdown. Mi sono appassionato. Ogni tanto lo porto in regalo ad amici e conoscenti. È un gesto che per me rappresenta una grande apertura all’altro. Anche il grano è naturalmente siciliano. La semola si chiama Giustalisa: proviene dal Belice». Ancora un bicchiere di Salealto, che va bene non solo con l’antipasto. Dal 1997 al 2000, Mattarella è in Mediocredito Centrale: «L’azionista era il ministero del Tesoro. Il presidente era Gianfranco Imperatori. Il primo anno da responsabile dell’organizzazione. Poi, per due anni, mi sono occupato di Sicilcassa e del Banco di Sicilia, con la costruzione di una bad bank e di una good bank, quest’ultima di proprietà del Mediocredito Centrale».

La Sicilia, ancora una volta, ritorna con i viaggi fra Roma e Palermo e la necessità di porre rimedio, in particolare, al buco finanziario della Sicilcassa (nel 1997, la perdita complessiva era calcolata in circa 3mila miliardi di lire). Il rapporto fra Roma e Palermo, la capitale e la Sicilia, il Paese e il Sud è anche questo: un filo lungo e qualche volta invisibile, ora molto elastico e robusto ora pronto a spezzarsi e a cadere. Un rapporto che si reitera dal 2000 al 2007, quando è responsabile della pianificazione strategica di Banca Nuova, del gruppo Banca Popolare di Vicenza.

In tavola è portata una caponata che, con il pane fatto in casa, compone un binomio notevole. Con la caponata, ecco dei calamari ripieni. Dal 2007 al 2011 Mattarella è Cfo di Invitalia e, dal 2011 al 2017, è responsabile della business unit incentivi e innovazione. Quando, nel 2017, Invitalia rileva da Poste Italiane il 100% del Mediocredito Centrale, ne diventa amministratore delegato.

Al centro degli snodi dell’economia

Mattarella, dunque, opera da anni nei delicati punti di snodo fra risorse pubbliche e risorse private, linee di credito e a fondo perduto, soldi comunitari e nazionali, accumulazione dei debiti e definizione degli investimenti, denaro formalmente nella disponibilità delle Regioni ma poi non speso per mancanza di progetti, consolidamento delle passività pubbliche e costruzione del valore aggiunto privato.
Da Cfo di Invitalia, ha gestito ogni anno fra 1 e 1,2 miliardi di euro di liquidità. Da ad di Mediocredito Centrale ha firmato un bilancio che – al 31 dicembre 2020 – ha allo stato patrimoniale uno stock di 2 miliardi di crediti verso le imprese (il 55% al Sud, il 28% al Nord e il 17% al Centro).
Inoltre, ha gestito il Fondo di garanzia che, nell’anno e mezzo della pandemia, ha accolto richieste per oltre 180 miliardi di finanziamenti. In Italia, entro il 2026, dovrebbero arrivare 209 miliardi di euro dell’Ue.
Riflette Mattarella: «Il Governo Draghi e la tecnostruttura del Mef hanno le competenze e i meccanismi di controllo per attuare le procedure e delineare le riforme. Il punto critico è rappresentato dalla pubblica amministrazione nazionale e locale che, poi, ha la funzione di fare compiere a questi soldi l’ultimo miglio, fino alle imprese. La qualità della pubblica amministrazione deve migliorare, se non vogliamo che questi 209 miliardi diventino, da una opportunità unica, una occasione perduta».

In tavola viene servito un semifreddo alle mandorle, su cui è versata della cioccolata calda. Con il caffè, un bicchiere di Marsala secco. La compresenza di freddo e caldo, di dolce e amaro è il sottostante della contraddizione – e della ricchezza – italiana. E, mentre beviamo un altro caffè, mi tornano in mente gli enigmatici versi di Gesualdo Bufalino in Svolta: «Venga l’autunno a dirci che siamo vivi, seduti sull’argine rosso a guardare l’acqua che se ne va». Enigmatici come, in fondo, è enigmatico il destino del nostro Paese.

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