«Big Pharma tre anni fa ha rifiutato la proposta Ue di sviluppare i vaccini coronavirus»
Due Ong hanno svelato che le multinazionali del farmaco hanno rifiutato il progetto ma Imi, l'organizzazione pubblico-privato che riceve fondi Ue, respinge l'accusa
di Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi
3' di lettura
Global health Advocates e Corporate europe observatory affermano di aver trovato la pistola fumante: Big Pharma tre anni fa ha rifiutato la proposta della Ue di lavorare ai vaccini contro agenti patogeni come il coronavirus.
Le due associazioni non governative, una a Bruxelles, l'altra con quartier generale in Francia – entrambe studiano l'impatto delle lobby delle imprese sulle decisioni delle politiche comunitarie – hanno appena messo in linea il rapporto di otto pagine . «Nel nome dell'innovazione - Le imprese controllano miliardi nella ricerca della Ue e relegano in secondo piano l'interesse pubblico».
L'analisi
«Siamo indignati per aver trovato la prova che la lobby dell'industria farmaceutica Efpia – si legge nel rapporto – non solo non ha considerato il finanziamento delle preparazioni biologiche (al fine di essere pronti per epidemie come quella causata dal nuovo coronavirus, Covid-19) come un “argomento di natura normativa” per l'Imi (il che significa che l'Imi avrebbe potuto cercare progetti di ricerca da finanziare), ma si è opposta affinché questa possibilità fosse inclusa nei lavori dell'Imi quando la Commissione Europea ne ha prospettato la possibilità nel 2017». Dietro le sigle –Imi ed Efpia – ci sono realtà che hanno una identità precisa.
L'Imi
L'Imi, (Iniziativa sui farmaci innovativi) è un partenariato pubblico-privato che mira ad accelerare lo sviluppo di farmaci migliori e più sicuri. L'Imi ha un budget di 5 miliardi di euro, composto da finanziamenti Ue e contributi da parte di enti privati e altri organismi.
Il consiglio di amministrazione dell'Imi è composto da funzionari della Commissione e rappresentanti della Federazione europea delle industrie farmaceutiche (Efpia), i cui membri comprendono alcuni dei più grandi nomi del settore, tra cui GlaxoSmithKline, Novartis, Pfizer, Lilly e Johnson & Johnson.
L'Efpia
L'Efpia ha sede a Bruxelles. Fondata nel 1978, rappresenta l'industria farmaceutica basata sulla ricerca che opera in Europa. Ha gestito un budget pubblico di 2,6 miliardi di euro per la ricerca della Ue per il periodo 2008-2020 attraverso l'Imi, ma finora, afferma il report delle due Ong, non è riuscito ad investire in aree di ricerca in cui il finanziamento pubblico è urgente e necessario.
Da quando il coronavirus Sars – parente stretto del Covid-19 – ha fatto capolino nel 2003, il mondo della ricerca ha esortato ad accelerare lo sviluppo di tecnologie mediche per affrontare i virus di questo tipo.
Il candidato ignorato
In realtà, affermano le due Ong, «c'era un candidato promettente per il trattamento del coronavirus già nel 2016, ma non ha attirato l'attenzione di Big Pharma per i suoi ulteriori sviluppi. È solo ora, con una pandemia globale in atto e con la mobilitazione di fondi pubblici di emergenza per affrontarla, che l'industria sta dimostrando la volontà di contribuire allo sviluppo dei farmaci e delle terapie.
L'industria farmaceutica si è comportata in modo simile per l'ebola. Solo quando è diventata un'epidemia nel 2014 l'Imi ha iniziato a finanziare progetti di ricerca rilevanti. Questo caso mostra come gli interventi tardivi quando un'epidemia è già in corso siano molto meno utili del tipo di bio preparazione che l'industria ha rifiutato».
Ricerca sul cancro
Secondo Bloomberg intelligence – riporta The Guardian che ha per primo dato la notizia sul proprio sito – nell'ultimo anno le 20 maggiori aziende farmaceutiche del mondo hanno intrapreso circa 400 nuovi progetti di ricerca. Circa la metà di essi si sono concentrati sul trattamento del cancro, rispetto ai 65 sulle malattie infettive.
La replica Imi
Lo stesso Guardian ha raccolto la voce dell'Imi, secondo il quale il tema era in competizione con altre priorità al momento della proposta del 2017, tra cui la ricerca sulla tubercolosi, le malattie autoimmuni e la salute digitale. «Il rapporto sembra suggerire che l'Imi abbia fallito nella sua missione di proteggere il cittadino europeo lasciando passare l'opportunità di preparare la società all'attuale pandemia di Covid, Questo è fuorviante per due motivi: la ricerca proposta dalla Ue sul tema della bio preparazione era di portata limitata e, inoltre, si è concentrata sulla rivisitazione dei modelli animali», ha dichiarato il portavoce.
Per approfondire:
● Profitti miliardari e poca ricerca, così il Covid-19 ha messo alle strette Big Pharma
● Scienziati Usa: vaccini rallentati da profitti Big Pharma e austerity
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