Biles, Osaka, Burdisso: quando lo stress divora i campioni
Casi diversi, non isolati, che ripropongono interrogativi che ormai convivono con lo sport professionistico ad alto livello: come gestire – da parte degli atleti - la pressione generata dai grandi eventi
dal nostro inviato a Tokyo Dario Ricci
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Il clamoroso ritiro dall’Olimpiade della pluriolimpionica statunitense della ginnastica Simone Biles (che fino a quel punto aveva alternato prodezze straordinarie a errori da lei mai compiuti); l’opaca Olimpiade di Naomi Osaka, l’ultima tedofora mestamente uscita troppo presto dal torneo di tennis di cui era la stella più attesa, dopo essersi ritirata dal Roland Garros denunciando di essere affetta da una non banale sindrome depressiva che le rendeva insopportabili e insostenibili anche gli incontri post gara con la stampa; le parole del nuotatore azzurro Federico Burdisso, che appena sceso dal podio dei 100 farfalla dove pochi istanti prima aveva celebrato il bronzo appena vinto, non ha avuto paura di confessare il forte stato di stress emotivo cui l’idea stessa dell’Olimpiade (e, aggiungiamoci, in un contesto tanto drammatico e unico come quello legato alla pandemia) lo ha fatto precipitare, lui che pure ha saputo reagire fino appunto a cogliere una splendida medaglia a cinque cerchi.
Casi diversi, casi non isolati, casi che ripropongono con forza interrogativi che ormai convivono con lo sport professionistico ad alto livello: come gestire – da parte degli atleti - la pressione generata dai grandi eventi? Come amministrare al meglio le aspettative di media, tifosi, dirigenti? E ancora, e soprattutto: quali le conseguenze psicologiche ed emotive generate dalla lunga fase pandemica che stiamo attraversando su atleti che fanno del rapporto col proprio corpo, con i compagni e gli avversari, la misura stessa del loro essere sociale?
Sincerità
"Ho gareggiato meglio non è stato uno dei migliori tempi ma nelle finali come questa conta chi mette la mano davanti e fortunatamente sono arrivato terzo, anche se un po' di rimpianti ci sono perché se fossi arrivato al pieno delle mie potenzialità fisiche e mentali un secondo posto c'era". Così Federico Burdisso dopo la medaglia di bronzo nei 200 farfalla. Poi l’ammissione: "Sto soffrendo molto di tensione e ansia in questi giorni. Non mi è mai capitato, non sono un ragazzo ansioso, che si stressa facilmente, però è più grande di me questa manifestazione e sono ancora giovane e inesperto e sto soffrendo un po' di ansia che non mi fa bene così forte”.
Pressione, aspettative
“Se vengo qui e so che posso giocarmi una medaglia la pressione la sento. I 100 delfino penso di affrontarli con più spensieratezza, proverò a fare un bel tempo, vorrei far parte della staffetta mista, dove possiamo fare bene. E' un problema di aspettative e Olimpiade", ha aggiunto l'azzurro che non pensa però di prendere particolari contro-misure nulla una volta tornato a casa. "Non ho mai sofferto di queste cose, adesso ci sta alla prima Olimpiade, poi sarà in discesa. Di testa sono forte, sono arrivato terzo ma si può sempre fare meglio, guardo allo step successivo".
L’esperto
Più che legittimo, di fronte a queste parole e al moltiplicarsi di questi casi e al livello assoluto dei protagonisti coinvolti, sentire il parere di chi della gestione dello ‘stress dei campioni’ ha fatto una vocazione e un’attività professionale specifica: “Il caso di Burdisso credo vada inserito nel contesto generale - dichiara Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive alla Cattolica di Milano, preparatore atletico e mental coach di molti atleti di vertice dello sport italiano e internazionale -: causa pandemia, abbiamo vissuto tutti uno stress massimale, in questi casi acuito pure dalla grandezza del palcoscenico internazionale che un ragazzo così giovane si è trovato ad affrontare. Senza dimenticare poi la pressione esercitata da aspettative sempre più alte imposte da quel ‘coro’ collettivo che sono i social, che amplificano spesso reazioni, tensioni, comportamenti”.
Ma l’ansia è sempre negativa:” No, anzi! – spiega ancora il professor Tirelli - : ovvio che di fronte a obiettivi tanto grandi, lo stress ha anche una funzione attivante rispetto alle energie psico-fisiche, che vengono quindi raccolte e catalizzate; ma quando si supera questa soglia, ecco che invece che attivare, quell’ansia blocca, irrigidisce, e porta alla contro-prestazione”. Come poter gestire questo quadro così complesso: ”Anche in questo caso ci vuole allenamento – chiosa Tirelli -, bisogna allenare la mente con tecniche specifiche, e avere un gruppo di preparazione allargato e completo. Sono dettagli che non possono mai essere dati per scontati, e anzi sono quelli più importanti sui quali impostare un lavoro preventivo, preparatorio, funzionale alla preparazione fisica”.
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