scandali

Bio-on, dopo il crac dipendenti e fabbrica appesi a un filo

Nessuna disponibilità da parte delle banche a concedere nuova finanza all’ex unicorno. L’attività dell’azienda continua, ma il pagamento degli stipendi avverrà solo dopo l’incasso dei crediti

di Ilaria Vesentini

(Imagoeconomica)

2' di lettura

A meno di due mesi dallo scoppio della bufera giudiziaria “Plastic bubble”, il Tribunale di Bologna ha dichiarato il fallimento di Bio-On, la società bolognese di bioplastiche (si definiva una Intellectual Property Company) quotata nel 2014 sul segmento Aim di Borsa Italiana (sospesa il 23 ottobre scorso), ex unicorno dei listini milanesi che in pochi mesi ha bruciato un miliardo di euro di capitalizzazione. In una nota il collegio dei curatori fallimentari precisa che è stato «nominato giudice delegato Fabio Florini e curatore fallimentare un collegio composto da Antonio Gaiani e da Luca Mandrioli, già amministratore giudiziario» dell’azienda.

Con la stessa sentenza, inoltre, il Tribunale «ha disposto la continuazione temporanea dell’attività economica d’impresa, autorizzando l’esercizio provvisorio per preservare la continuità aziendale con l’obiettivo di evitare che venga dissolta l’organizzazione produttiva nelle sue componenti di occupazione, tecnologiche e di avviamento. Stante, a tutt’oggi, la mancata disponibilità da parte del sistema bancario a concedere nuova finanza sebbene assistita dalla garanzia della prededuzione, gli scriventi comunicano che il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti di prossima scadenza potrà essere reso possibile solo a seguito dell’incasso dei crediti di futura esigibilità. Sarà compito della curatela fallimentare attivarsi quanto prima al fine di presentare la domanda di Intervento straordinario di integrazione salariale per crisi aziendale».

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La nota stringata arrivata ieri sera dal palazzo di giustizia bolognese apre molti interrogativi sul futuro dello stabilimento di Castel San Pietro e dei suoi 100 dipendenti, nonché sulle prospettive di rientro dei risparmi investiti da centinaia di piccoli azionisti nella roboante newco fondata nel 2007 da Marco Astorri, il presidente messo agli arresti domiciliari, poi revocati, e indagato assieme ad altre otto persone per false comunicazioni sociali (art.2622 C.C.) e manipolazione del mercato (art. 185 Tuf). Tre mesi di indagini delle Fiamme Gialle, scattate dopo le accuse mosse lo scorso luglio dal fondo americano Quintessential (che ha ribattezzato Bio-on “la Parmalat bolognese”), hanno infatti portato alla luce un meccanismo di scatole vuote alle quali veniva fatturato in modo non veritiero business conseguente ad accordi di partnership e di licenza per l’impiego su scala internazionale del polimero PHA, al mero fine di gonfiare ricavi ed Ebitda e aumentare la capitalizzazione.

Eppure lo stabilimento nuovo di zecca c’è, con tanto di laboratori e di tecnologie all’avanguardia per la ricerca e lo sviluppo dei biopolimeri: una fabbrica inaugurata nel giugno 2018, dentro a un ex stabilimento di yogurt della Granarolo su un’area di 30mila metri quadrati nelle campagne bolognesi, un investimento costato 20 milioni di euro. E fino a due mesi fa lavoravano qui un centinaio di persone, dipendenti di Bio-on, oggi senza stipendio né ammortizzatori sociali.

Lo scorso 12 novembre, infatti, l’allora amministratore giudiziario Luca Mandrioli aveva deciso di «sospendere tutti i pagamenti, in attesa di completare tutti i necessari approfondimenti, compresi i pagamenti nei confronti di dipendenti, fornitori ed istituti di credito». E ora le banche non sono più disposte a scucire un euro per finanziare le attività di ricerca Bio-on sulle bioplastiche chiamate Minerv PHAs, 100% naturali e 100% biodegradabili, la cui validità scientifica non è mai stata messa in discussione, mentre lo è la loro effettiva capacità di generare fatturato e margini operando correttamente sul mercato.

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