Biologico e sostenibilità, le contraddizioni del Green deal
Prandini (Coldiretti): «Sbagliato fissare a priori percentuali, bisogna seguire il mercato». Fini (Cia): «Le tecnologie di agricoltura 4.0 sono indispensabili per il biologico».
di Giorgio dell'Orefice
3' di lettura
«Nell’aprile del 2021 il presidente dello Sri Lanka Gotabaya Rajapaksa ha imposto al proprio Paese il divieto di importare fertilizzanti e prodotti chimici promuovendo il passaggio a un’agricoltura completamente autarchica e biologica. Il risultato, a un anno di distanza, è che lo Sri Lanka è alle prese con una delle peggiori carestie della propria storia». Nel caso riportato dal docente di Viticoltura ed Enologia dell’Università di Milano, Attilio Scienza a un incontro promosso in Franciacorta dalla Fondazione Terra Moretti e centrato sulla sostenibilità in viticoltura, c’è un tema chiave dell’agricoltura italiana ed europea.
L’obiettivo di raggiungere entro il 2030 il 25% di superfici bio in Europa previsto dal Green Deal Ue non può essere perseguito senza tener conto delle esigenze produttive. Perché da quando il Green Deal è stato concepito a oggi è stata attraversata una pandemia mondiale, una congiuntura di forti rincari dei prezzi delle materie prime, anche agricole, e una guerra. Eventi che hanno riproposto con forza la necessità di ridurre la dipendenza dall’import di materie prime alimentari. Ma, soprattutto, se all’agricoltura biologica verrà affidato un ruolo chiave nella produzione alimentare futura, non potrà restare ancorata alla tradizione ma dovrà aprirsi all’innovazione tecnologica, da quella genetica (che rende disponibili varietà di piante resistenti alle malattie) alle tecnologie di agricoltura 4.0 (che minimizzano l’uso della chimica in campo). Forse l’unica strada per far andare di pari passo incremento della produzione e sostenibilità ambientale.
«Per noi è sbagliato fissare a priori delle percentuali come ha fatto il Green Deal con il 25% di superfici bio al 2030 – ha detto il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini –. I settori devono crescere in base a quello che il mercato chiede. Negli Usa oggi c’è una forte domanda di vino biologico e lì c’è spazio per crescere, ma non è così ovunque. Poi c'è la sfida della crescita produttiva che a mio avviso deve appartenere anche alle aziende biologiche che devono affidarsi alla tecnologia. Digitalizzazione, robotica, guida satellitare, droni, tutti strumenti per effettuare interventi mirati di prodotti chimici solo laddove servono e non a tutto campo come avviene oggi per non parlare della cisgenetica, le new breeding techniques (Nbt) o tecnologie di evoluzione assistita (Tea), che possono mettere a disposizione soluzioni per fronteggiare le malattie, i parassiti e i cambiamenti climatici e che devono riguardare anche le aziende biologiche».
«Le tecnologie di agricoltura 4.0 e dell’agricoltura di precisione non devono semplicemente essere estese al biologico – spiega il neopresidente della Cia-Agricoltori italiani, Cristiano Fini – ma sono indispensabili per il settore biologico. Ancor più che per l’agricoltura convenzionale. Il biologico ha bisogno di questi strumenti e tecnologie proprio per raggiungere i propri obiettivi di crescita. Diverso invece è il discorso sulle tecniche genomiche. Su quelle nel settore bio (e lo dico da produttore di uve biologiche di Pignoletto) ci sono due scuole di pensiero con gli aperturisti da un lato e i fermamente contrari dall’altro. A mio avviso è necessario avviare un dibattito per arrivare a definire una posizione chiara».
«Non siamo legati solo alla tradizione – spiega la presidente di Federbio, Maria Grazia Mammuccini –. Il settore biologico oggi è fatto di tante aziende avanzate e tecnologiche. Il nostro è un metodo che punta anche alla prevenzione e alla tutela dei suoli e questo richiede negli imprenditori una dose mediamente superiore di conoscenze e professionalità. La rinuncia ai diserbanti e ai prodotti chimici è stata poi di stimolo per la messa a punto di innovazioni come il pirodiserbo o come le macchine che lavorano i terreni tutelando i microrganismi alla base della fertilità dei suoli. Sempre in tema di ricerca stiamo valutando una partnership con Agrofarma sulle tecniche di biocontrollo ovvero lo sviluppo di mezzi tecnici di origine naturale, come funghi e batteri o come le metodologie di confusione sessuale e gli insetti utili, in grado di contrastare malattie e parassiti. Il conflitto russo-ucraino sta facendo, infatti, emergere la necessità di emanciparsi dalle importazioni di materie prime agricole ma anche di mezzi tecnici i cui costi sono triplicati. Anche sulla prospettiva di una maggiore produttività stiamo lavorando. Ma bisogna fare attenzione che l’incremento delle rese nell’immediato non pregiudichi le rese dei terreni nel tempo».
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