Myanmar

Birmania, nella strage dei 35 civili di Natale anche 2 operatori di Save the Children

Nel massacro di civili attributo ai militari birmani e ritrovati carbonizzati a Natale sono stati coinvolti anche 2 membri di Save the Children

Aung San Suu Kyi condannata a 4 anni nella Birmania dei militari

5' di lettura

Non sono più dispersi purtroppo. Nel massacro di decine di civili ritrovati carbonizzati a Natale in Birmania, in un’area dove è radicata la minoranza cristiana cattolica, sono stati coinvolti anche i 2 membri dello staff di Save the Children. Lo ha annunciato l’organizzazione che al momento del massacro, attributo ai militari birmani, aveva denunciato la sparizione di 2 dei suoi operatori. Ma andiamo con ordine.

Il massacro del giorno di Natale

Il 24 dicembre 35 civili sono stati uccisi (gran parte sono stati ritrovati carbonizzati) in un’area dove è radicata la minoranza cristiana cattolica: il massacro attibuito all’esercito birmano ha provocato sdegno sui social media e tra le organizzazioni coinvolte.
In scia ad altre uccisioni di massa emerse fin da giugno, la strage è l’ennesima riprova della gravità della situazione nel Paese asiatico, dove l’esercito autore del golpe lo scorso febbraio impiega sempre più il pugno di ferro contro il dissenso. Stavolta il massacro è avvenuto nello stato Kayah, nell’est del Paese: un’area dove da decenni la minoranza Karenni - in maggioranza cattolica - rivendica una maggiore autonomia.

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Il ritrovamento dei veicoli

I resti carbonizzati di 7 veicoli sono stati ritrovati nella cittadina di Hpruso. Tra i veicoli c’era anche quello di due birmani che lavoravano per Save the Children e stavano tornando a casa; l’organizzazione, che si è detta “inorridita”, ha sospeso tutte le sue operazioni nell’area ma anche in altre regioni birmane dove è attiva.
Secondo la milizia dei ribelli Karenni, le persone uccise erano civili che cercavano di mettersi in salvo dai combattimenti nella zona. Per l’esercito birmano, i militari hanno aperto il fuoco sul convoglio dopo che i veicoli non si erano fermati a un posto di blocco, sparando contro i soldati. I media statali hanno parlato di un numero imprecisato di “terroristi armati” uccisi nei villaggi della zona.

I precedenti

La strage ricorda quelle avvenute a luglio e ai primi di dicembre nel distretto di Sagaing e nello stato Chin, nel nord-ovest del Paese. Secondo il governo di unità nazionale del Myanmar - un esecutivo ombra formato dalle forze dell’opposizione democratica - i militari erano impegnati in una operazione di repulisti nell’area, la stessa strategia utilizzata per decenni contro diverse milizie etniche e nel 2017 responsabile dell’esodo in Bangladesh di oltre 700 mila Rohingya.
In risposta al massacro, il governo di unità nazionale ha reiterato l’esortazione alla comunità internazionale ad agire contro “i crescenti crimini di guerra e contro l’umanità” della giunta del generale Min Aung Hlaing.

Lo sgomento dell’Onu

Il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari, Martin Griffiths, ha dichiarato di essere “inorridito” del massacro e ha chiesto al governo di avviare un’indagine. “Condanno questo grave incidente e tutti gli attacchi contro i civili in tutto il Paese, vietati dal diritto internazionale umanitario”, ha dichiarato in una nota. “Chiedo alle autorità di avviare immediatamente un’indagine approfondita e trasparente sull’incidente”, ha affermato Griffiths.
Anche la nuova inviata speciale delle Nazioni Unite per la Birmania, Noeleen Heyzer, si è detta “profondamente preoccupata” per l’escalation della violenza nel Paese ed ha lanciato un appello per un cessate il fuoco in occasione del nuovo anno tra i militari e gli oppositori del regime. L’inviata speciale Noeleen Heyzer “è profondamente preoccupata per la continua escalation della violenza nello Stato di Kayin ed in altre parti di Myanmar”, ha fatto sapere il suo ufficio in un comunicato. Si tratta della prima dichiarazione di Heyzer dalla sua nomina lo scorso ottobre.
Con Aung San Suu Kyi già condannata a 4 anni e in attesa di altri processi, un dissenso schiacciato nel sangue nelle proteste in città e organizzatosi in resistenza armata nelle campagne, milizie etniche attive da decenni e ora a formare un fronte comune col resto dell’opposizione, l’impressione è che la spirale di violenza sia destinata a proseguire.

La richiesta di Save the Children

L'Organizzazione, si legge in un comunicato di Save the Children del 28 dicembre, chiede una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu per definire le misure che intende adottare per chiedere conto ai responsabili di questi fatti, agli Stati membri di imporre un embargo sulle armi, all'Asean di adoperarsi per il rispetto degli accordi siglati ad aprile e per una soluzione diplomatica volta ad arginare le violenze.
L’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro, fa sapere che i 2 membri dello staff erano entrambi neo-papà, appassionati dell'educazione dei bambini. Uno di loro aveva 32 anni, un figlio di 10 mesi e lavorava da 2 anni con Save the Children, come addetto alla formazione degli insegnanti.
L’altro aveva 28 anni e una figlia di 3 mesi e si era unito all’Organizzazione 6 anni fa. Per il momento, per motivi di sicurezza, non vengono diffuse le loro identità.

Cosa facevano i due operatori

I due operatori sono stati coinvolti nell’attacco mentre stavano tornando al loro ufficio dopo un intervento umanitario in una comunità vicina. I militari hanno fermato il convoglio e costretto le persone a scendere dalle auto. Alcuni sono stati arrestati, molti sono stati uccisi e i loro corpi bruciati.“Questa notizia - si legge nel comunicato - è davvero terrificante. La violenza contro civili innocenti, compresi gli operatori umanitari, è intollerabile e questo attacco insensato è una violazione al diritto umanitario internazionale. Siamo scossi dalle violenze perpetrate contro i civili e il nostro staff, che è impegnato in attività umanitarie a sostegno di milioni di bambini in tutto il Myanmar. Le indagini sulla natura dell’incidente continuano e stiamo facendo tutto il possibile per garantire al nostro personale e alle famiglie delle vittime il supporto di cui hanno bisogno dopo questo devastante evento».

La richiesta di intervento

Non è un caso isolato. «La popolazione del Myanmar - dice Inger Ashing, Ceo internazionale di Save the Children - continua ad essere presa di mira dall'escalation di violenze e questi terribili episodi richiedono una risposta ferma e immediata. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve riunirsi il prima possibile per definire le misure che intende adottare per chiedere conto ai responsabili di questi fatti. Gli Stati membri dovrebbero imporre un embargo sulle armi, concentrandosi anche sulla limitazione degli attacchi aerei osservati negli ultimi giorni. L’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean) - continua Ashing - deve inoltre convocare una riunione urgente per rivedere e attuare l'Accordo in 5 punti stabilito ad aprile, che chiede l’immediata cessazione delle violenze in Myanmar. Inoltre, l’inviato speciale dell’Asean deve adoperarsi affinchè si trovi una mediazione per una soluzione diplomatica. Questi passaggi sono terribilmente urgenti per proteggere i bambini e gli operatori umanitari. La nostra Organizzazione - conclude il Ceo internazionale di Save the Children - è affranta per due amati e insostituibili colleghi, la cui morte rappresenta una perdita per i bambini di Kayah e di tutto il Myanmar».

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