Birra, vino e liquori senza alcol: business da 7,5 miliardi in forte crescita
Ricerca Areté: Francia, Spagna e Germania guidano la classifica europea. La birra mercato più consolidato con forti prospettive di crescita per gli altri prodotti
di Alessio Romeo
3' di lettura
Francia, Spagna e Germania guidano la classifica europea dei consumi delle versioni a basso tasso o zero-alcol di birra, vino e bevande alcoliche, un business arrivato a 7,5 miliardi trainato dalle nuove mode salutiste. Lo indica uno studio condotto da Areté, azienda italiana specializzata nella valutazione delle politiche per il settore agroalimentare, per conto della Commissione europea sul mercato delle bevande “low/no alcohol”, alternative a bassa (o nulla) gradazione degli alcolici tradizionali. Dall’ormai diffusa e nota birra analcolica al vino dealcolato fino alle imitazioni di gin e whiskey, il mercato mondiale è in piena evoluzione e la normativa comunitaria sta cercando, non senza polemiche, di adeguarsi.
L’offerta di bevande senza o con ridotto tenore alcolico, vendute e pubblicizzate come in grado di replicare l'esperienza di consumo di birra, vino e superalcolici, per chi non può o non vuole bere la versione alcolica “classica”, è cresciuta enormemente in molti Paesi. Mentre il mercato delle birre analcoliche è già piuttosto consolidato nella maggior parte degli Stati Ue, quello degli altri prodotti è solo agli inizi del suo sviluppo. Lo studio stima in circa 2,5 miliardi di litri, pari a 7,5 miliardi di euro, il valore del mercato europeo, in gran parte coperto dalla birra.
Quello del vino si attesta a 322 milioni, distillati e liquori senza alcol a circa 168. Francia, Spagna, Germania e Belgio coprono da soli l'84% del mercato Ue dei superalcolici e il 91% dei vini aromatizzati. Sorprendentemente, in Francia il vino a basso tenore di alcol ha raggiunto nel 2021 un fatturato di 166 milioni (nel Regno Unito, primo mercato per le alternative ai superalcolici, 98). Fuori dai confini europei i mercati più ricchi sono quelli di Australia (con un valore stimato di circa 2 miliardi) e Usa (un miliardo).
Se in valore assoluto questo segmento rappresenta ancora una nicchia, contribuendo a meno dell'1% del rispettivo mercato di riferimento (anche qui, con l'eccezione della birra), negli ultimi due anni ha registrato una crescita del 18% in un quadro di generale stabilizzazione o riduzione dei consumi di bevande alcoliche.
In Italia, dove è meno comune rispetto ad altri paesi trovare vini dealcolati o alternative analcoliche al gin tra gli scaffali dei supermercati, lo studio Areté stima in circa 8 milioni di euro il mercato delle bevande alternative ai superalcolici nel 2021 (lo 0,1% del totale della categoria), a fronte dei 78 milioni del mercato francese. Cifre ancora più ridotte per i vini aromatizzati, rappresentati principalmente dalle alternative al Vermouth, con vendite stimate in meno di un milione. Se la cava un po' meglio il vino (parzialmente) dealcolato, con un mercato nazionale stimato in circa 30 milioni, molto distante da Francia (166 milioni) e Germania (69).
Le previsioni sono comunque di una crescita a doppia cifra (+23% l'anno nei prossimi cinque anni per i superalcolici a basso o ridotto contenuto di alcol) con un grande potenziale di “nuovi” consumatori (si pensi a esempio a chi non beve alcolici per motivi religiosi o alle nuove tendenze salutiste).
Tra gli aspetti critici c'è invece la mancanza di una normativa europea. Ad oggi non esiste una definizione legale di “bevanda alcolica” nella legislazione alimentare dell’Ue e il quadro normativo varia in modo significativo da un paese all'altro e tra prodotti diversi, così come la possibilità di commercializzare versioni alcohol free o a ridotta gradazione alcolica. Queste differenze diventano particolarmente evidenti soprattutto in tema di etichettatura e di denominazioni di vendita autorizzate: mentre la possibilità di produrre e commercializzare vini dealcolati è stata introdotta dall'ultima riforma Pac del 2021, è vietato etichettare come gin, vodka o whiskey bevande che ne imitano il sapore ma con un tenore alcolico ridotto.
Proprio sull'etichettatura, raccomanda lo studio, sarà necessario lavorare per garantire maggior chiarezza a consumatori e operatori, senza trascurare le istanze di tutela dei prodotti tradizionali per i quali l'Europa è celebre in tutto il mondo. Bruxelles può scegliere tra diversi strumenti di intervento, a esempio fornendo regole comuni per l'uso di locuzioni quali “analcolico” o “a bassa gradazione” nella comunicazione di prodotto e cercando, insieme ai diversi portatori di interessi, soluzioni efficaci per descrivere queste bevande.
«Guardando all'Ue nel suo complesso – spiega Enrica Gentile, project manager di Areté per il progetto Ue – il mercato delle bevande “low/no alcohol” diverse dalla birra è ancora in una fase iniziale di sviluppo in tutti i paesi membri, e le relative dinamiche sono ancora in grande evoluzione, ma le attese per i prossimi anni sono di crescite complessive a due cifre, in particolare per vino e alcoli. In questo contesto, sono di grande importanza l'innovazione tecnologica e di prodotto, ma anche la possibilità di avere un quadro normativo chiaro, a beneficio di operatori e consumatori».
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