intervista

«Biscotto alla volta sono diventato il re dei savoiardi»

«Quando il commissario liquidatore di Parmalat mise in vendita gli asset non strategici, portammo a casa Grisbì e Mister Day: in una notte siamo passati da 200 a 600 dipendenti. Tutti pensavamo che saremmo entrati in crisi»

di Barbara Ganz

Linea produttiva ad alta automazione di Vicenzi

4' di lettura

Giuseppe Vicenzi, classe 1932, arriva in azienda ogni giorno intorno alle 9 ed esce non prima delle 19,30: «Ultimamente me la prendo un po’ più comoda». In azienda da quando aveva 16 anni, ha trasformato l’intuizione della nonna Matilde Vicenzi – fare dolci per arrontondare le entrate del negozio di panetteria, soprattutto dopo che il marito era diventato cieco e c’erano quattro figli da crescere – in un gruppo che vende in 110 Paesi il 30% del fatturato, con una forte presenza in Nord America, Medio Oriente, Paesi del Golfo. I primi documenti ufficiali dell’attività sono del 1905. Il signor Giuseppe racconta che non era fatto per studiare: «Bocciato due volte, mia mamma mi ha mandato a Milano da parenti per imparare la partita doppia. Il pomeriggio andavo a piedi in piazza Duomo, all’andata guardavo tutte le pasticcerie a destra, al ritorno quelle a sinistra».

È il padre di Giuseppe, Angelo, a svoltare decisamente sulla pasticceria: il laboratorio di Matilde diventa troppo piccolo (ora è un punto vendita dei dolci Vicenzi), ci si allarga, ma la produzione è tanta che il vecchio forno a vapore esplode. Uno zio che possiede due panifici dona il primo pezzo di terra «per tirarte su un capanonsin vicino alla cabina dell'elettricità», bene raro a quei tempi.

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Giuseppe Vicenzi

Nell’Italia del dopoguerra i biscotti erano arrivati a tavola dopo la polenta e il pane: pochi tipi e semplici, prodotti da grandi aziende. Come ricavarsi uno spazio? «Tutti facevano biscotti, perfino i farmacisti. Allora ho pensato: scelgo un prodotto solo e divento il numero uno. Ho scelto l’amaretto, che non era così diffuso, e anche per chi lo faceva era una seccatura. Ho detto a un cliente bergamasco che non avrei fatto più frollini normali, e gli ho rimandato indietro il suo assegno. Mi dicevano: sito mato?». Tre turni solo per gli amaretti, poi un’altra linea e ancora una terza recuperata da un’azienda che chiudeva per 200mila lire. Alla fine perfino i pochi concorrenti avevano smesso di produrre amaretti.

E visto che la formula aveva funzionato, perché non rilanciare? «L’appetito vien mangiando, e ho scelto il savoiardo, che in Italia quasi nessuno faceva più, e quei pochi che si trovavano erano scadenti e cattivi». Vicenzi ordina una linea produttiva su misura in Belgio, ma i biscotti restavano invenduti. Con i magazzini pieni, mentre investe su uno stabilimento più grande, di nuovo si sente dire: te si mato. «Non avevo un ufficio marketing, ma ho capito da solo che il problema era la scatola: troppo bella, le persone non li compravano. Ho cambiato confezione e sono diventato il primo anche nei savoiardi». Pioniere anche nell’export, Giuseppe decide di evitare quello che succede sempre: «Quando te si bravo, i te copia. E all’estero c’è chi manda prodotti di bassa qualità, a prezzi stracciati: non potevo permetterlo». È nato così il disciplinare del savoiardo, pubblicato il 1° agosto 2005 sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e che prescrive, fra l’altro, l’utilizzo di sole uova intere di categoria A in misura non inferiore al 26%. Vicenzi ne mette il 30 per cento.

Il quaderno delle ricette di Matilde Vicenzi, custodito in azienda

Ma l’appetito c’è ancora: è la volta della pasta sfoglia, e questa volta il macchinario giusto arriva dritto dal Giappone. Nessuna mano umana può stendere più sottile la pasta né dare così tante pieghe spalmate di burro: «Perché noi siamo pasticceri, non lattai, non pastai», spiega dando un buffetto ideale ai concorrenti. A proposito di lattai: quando il commissario liquidatore di Parmalat mette in vendita gli asset non strategici, Vicenzi porta a casa Grisbì e Mister Day. E per la prima volta nella sua storia, trema: «Serviva crescere, raggiungere le dimensioni giuste per essere competitivi. In una notte siamo passati da 200 a 600 dipendenti. Tutti pensavamo saremmo entrati in crisi, noi ne siamo usciti più forti». Quanto ai marchi acquisiti, oggi il solo Grisbì – nuova confezione, nuovi gusti – ha più che raddoppiato il fatturato rispetto al momento del passaggio di proprietà, spiega il direttore generale Filippo Ceffoli.

Un biscotto da innovazione, anche quello che nasce ascoltando i propri consumatori su Facebook: così, quando nei supermercati i minestroni lasciano il posto ai gelati, arriva il biscotto ripieno di crema che si mette in frigo: dai dati risulta spopolare fra un pubblico perlopiù femminile, fra i 25 e i 44 anni.

Alla Vicenzi – proprietà interamente familiare, produzione totalmente in Italia fra la storica sede di San Giovanni Lupatoto, Bovolone e Nusco, Avellino – la quarta generazione è già in azienda, rappresentata dalle tre figlie: Giuliana vice Presidente e direttrice commerciale Export, Valeria e Beatrice in Cda, mentre la quinta si sta preparando. Il marketing lavora su tutti i fronti, e la fondatrice Matilde “parla” ai giovanissimi nei video su TikTok. Nel periodo del lockdown, la vendita dei savoiardi ha segnato +100%: tutti in casa, con un tiramisù. La pasticceria Vicenzi è presente su tutte le piattaforme commerciali, da Alibaba ad Amazon, ma su un e-commerce proprio si sta ragionando «perché comprare un pacco di pasticcini è un acquisto di impulso: lo vedi, lo prendi, lo finisci e poi ti senti un po’ in colpa, ma soddisfatto». Giuseppe, ma il suo biscotto preferito qual è? «Il primogenito: l’amaretto».

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