Bitcoin, questa volta è diverso. Per la prima volta sfiderà la recessione e l’Orso
Nei suoi 13 anni di vita la principale criptovaluta al mondo si trova ad affrontare un contesto macro avverso nel quale sarà chiamata a dimostrare la sua resilienza. Un test reso ancora più difficile dalla recente forte correlazione con i titoli tecnologici
di Vito Lops
I punti chiave
4' di lettura
Bitcoin, questa volta è diverso. È difficile parlare di prezzo quando ci si riferisce alle criptovalute, compresa la più capitalizzata. Bitcoin è un protocollo senza padri e padroni, non esibisce un bilancio, non ha un ufficio marketing. È una formula lanciata nel mondo digitale nel 2009 (subito dopo, e non per caso, la grande crisi finanziaria simboleggiata dal fallimento di Lehman Brothers) che ha l’ambizione di affiancare l’oro tra le classi di investimento che esibiscono il bollino di “riserva di valore”. Ray Dalio, il noto investitore a capo del primo fondo hedge al mondo Bridgewater, ha ammesso pubblicamente di averne inserito una piccola porzione nel portafoglio considerandolo una sorta di “hard money”, quelle monete (come l’oro appunto) che hanno la resilienza di imporsi durante i grandi sconvolgimenti epocali che in passato hanno mandato in testacoda le divise governative (fiat money). Non tutti la pensano come Dalio.
Il verdetto di Nassim Taleb
Nassim Taleb, noto autore del “Cigno nero”, ha recentemente definito Bitcoin come un «tumore generato dal quantitative easing delle banche centrali» dell’ultimo decennio. Sarà solo la storia a dare un verdetto a questo esperimento tecnologico ideato per migliorare, nell’era digitale, le caratteristiche di scarsità (di bitcoin ce ne saranno a regime solo 21 milioni) e inossidabilità (in 13 anni di vita il protocollo ha dato prova di forza resistendo a numerosi attacchi hacker). Dalla sua Bitcoin ha il vantaggio rispetto all’oro di essere più facile da trasferire (bastano pochi secondi con la tecnologia layer 2 lighting network o una decina di minuti passando direttamente attraverso la blockchain).
Va però detto che l’oro, per quanto abbia un prezzo ballerino (dai 2079 dollari di marzo ieri era giù del 20% a 1.660) è certamente meno ballerino di Bitcoin, i cui drawdown (nell’ordine dell’80%) fanno paura almeno quanto elettrizzano le sue volate verso l’alto nei periodi migliori (nonostante il recente calo del 70% dai massimi storici di novembre 2021 il prezzo è cresciuto di oltre il 10.000% dagli esordi e si fa fatica a trovare un altro asset che abbia registrato una rivalutazione del genere). L’estrema volatilità - per quanto in diminuzione rispetto al passato - suggerisce che è decisamente prematuro etichettare Bitcoin come una “riserva di valore”. Se il prezzo è cresciuto tanto negli anni recenti è stato anche grazie al crescente ingresso di investitori istituzionali, perché per fare il “salto” ci vogliono capitali importanti che i retail non sono in grado di mettere sul piatto.
La narrativa dell’oro digitale
L’arrivo degli istituzionali si sta rivelando però anche un boomerang in questo momento per quella narrativa che dipinge Bitcoin come una sorta di “oro digitale”. Perché la correlazione con il tecnologico Nasdaq è diventata estrema. Prima non era così, ma dal covid crash del marzo 2020, il prezzo di bitcoin si è agganciato alle performance dei titoli growth quotati a New York. Questo perché gli investitori istituzionali in questa fase fanno di tutta l’erba un fascio e trattano le criptovalute allo stesso modo, inserendo Bitcoin nello stesso calderone in cui posizionano molte “alternative coin”, che nella migliore delle ipotesi sono progetti altamente sperimentali che investono nella tecnologia blockchain al fine di trovare casi d’uso futuro per modelli di business in chiave decentralizzata. Ma a differenza di Bitcoin sono aziende e non hanno l’ambizione di diventare, appunto, oro digitale.
Probabilmente arriverà un momento in cui gli investitori torneranno a distinguere Bitcoin dalle altre criptovalute. In ogni caso, questo cambio di narrativa, da “riserva di valore” a “titolo growht”, sta ponendo per la prima volta il prezzo di bitcoin a fianco di un “bear market” del mercato azionario tradizionale. Una assoluta novità che può aiutare a capire come mai per la prima volta nella storia la quotazione (scesa sotto i 20mila dollari) stia viaggiando da quattro mesi di fila sotto la media a 200 settimane. In passato, questo indicatore di prezzo utilizzato in analisi tecnica ha sempre funzionato da ottimo supporto (a parte una piccola parentesi durante il Covid). Sulla base di questo spunto sono in tanti coloro che si aspettano un grande rimbalzo. Non sappiamo come andrà, né abbiamo la presunzione di offrire proiezioni finanziare.
Le difficoltà in un contesto sconosciuto
Quel che si può affermare è che lo scenario di fondo è profondamente diverso rispetto a quelli con cui ha coabitato Bitcoin fino ad ora. Non bisogna infatti dimenticare un altro aspetto di assoluta novità: nella sua giovane età non ha mai affrontato uno scenario economico di recessione abbinato a rialzi dei tassi delle banche centrali su scala globale, come quello che si va profilando. Lo stesso contesto che sta facendo soffrire il prezzo dell’oro fisico, che invece dà il meglio di sé in un ambiente di deflazione e/o di tassi reali negativi. Anche bitcoin sta soffrendo questo contesto che non ha mai conosciuto. E finché sarà così probabilmente le medie mobili o altri indicatori rischieranno di essere solo delle affascinanti rappresentazioni grafiche.
Allo stesso tempo il momento è davvero sfidante. In questo “bear market”, con il mondo che rischia la stagflazione, con tassi che salgono e Borse che scendono, bitcoin è chiamato, dal punto di vista finanziario, a uno stress sul prezzo senza precedenti. Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare. Così, Bitcoin avrà la possibilità di dimostrare di essere, se lo è davvero e per dirla alla Ray Dalio, una hard money.
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