Bitcoin sbarca al Congresso Usa: Sec e Cftc dicono la loro. La Cina verso il bando totale del trading
di Pierangelo Soldavini
4' di lettura
La Cina aveva già messo al bando gli exchange locali di criptovalute e le offerte iniziali di valute, stringendo anche i freni sulle attività di mining. Ma, sia pur in maniera decisamente ridotta, l’attività dei cinesi su bitcoin & co. non si era mai fermata: ora la Banca centrale cinese lancia il segnale di voler eliminare del tutto le attività di trading impedendo ai locali di accedere anche alle piattaforme di scambio estere.
Intanto il tema criptovalute arriva al Congresso americano in quella che è una delle audizioni più attese degli ultimi anni in cui saranno sentiti i presidenti di Sec e Cftc, le due principali authority dei mercati finanziari.
Sono tutte notizie che segnalano la direzione verso ulteriori strette regolamentari su bitcoin in tutto il mondo. E che hanno contribuito a mantenere il comparto in un clima dominato dall’incertezza e dalle vendite. C’è stato solo un momento, nella serata di lunedì, in cui Bitcoin sembrava aver ritrovato un suo presunto ruolo di bene rifugio con un rimbalzo delle quotazioni. Poi però il trend è tornato al ribasso, con una scivolata fino a quota 6.000 dollari, con una flessione superiore al 15% sulle 24 ore. Attualmente è tornato sopra quota 7.000 dollari, in contrasto con la persistente debolezza di Wall Street.
Sec e Cftc davanti al Congresso
La Securities and Exchange Commission e la Commodity Futures Trading Commission hanno dovuto fare i conti negli ultimi mesi con la sempre più ingombrante presenza delle criptovalute: inchieste, warning agli investitori, azioni legali contro presunti illeciti oltre al lancio dei futures su bitcoin. Ora le deu authority sono chiamate a dire la loro sui contorni di una possibile regolamentazione della materia.
I due presidenti, Christopher Giancarlo della Cftc e Jay Clayton della Sec, testimiano stasera davanti alla Commissione bancaria del Senato spezzando una lancia a favore di una stretta regolamentare sulle criptovalute. «Siamo pronti a collaborare con il Congresso per valutare se una normativa federale sulle piattaforme operative in criptovalute sia necessaria e appropriata. Siamo anche favorevoli a politiche regolatorie che portino chiarezza e trasparenza nel settore», sostiene Clayon nel discorso preparato per l’occasione.
Giancarlo sottolinea la necessità di un approccio integrato: «Bisogna prestare attenzione alle lacune dell’approccio attuale di regole stato per stato che lascia crepe nella protezione di trader e investitori in criptovalute».
La discussione successiva potrebbe concentrarsi su due dei maggiori eventi che hanno dominato gli ultimi mesi: le offerte iniziali di valute e i derivati, a partire dai futures. Strumenti che hanno coinvolto ingenti investimenti e per i quali si guarda una tutela specifica dal punto di vista regolamentare.
Stop al trading in Cina
La People's Bank of China (Pboc) ha fatto sapere che metterà al bando tutte le piattaforme domestiche e straniere per lo scambio di criptovalute e i siti per le Ico, stando a quanto riportato dal South China Morning Post.
«Le Ico e il trading sulle valute virtuali non sono state del tutto bloccate in seguito al divieto ufficiale», si afferma nell’articolo, grazie all’aggiramento del bando mediante le piattaforme estere.
«Le transazioni transfrontaliere e l’evasione delle regole sono riprese... i rischi sono ancora ben presenti, alimentati dall’emissione illegale di prodotti, e dalle frodi e dagli schemi piramidali», prosegue l’articolo della Pboc. L’agenzia ufficiale cinese Xinhua ha spiegato che la Banca centrale stringerà i controlli sugli investitori domestici che si imbarchino in transazioni estere di valute virtuali e di Ico mentre il mercato rimane altamente instabile.
Carte di credito più costose
Intanto le istituzioni finanziarie globali stringono da parte loro per mettere un freno alle attività speculative sulle criptovalute, facendo leva soprattutto sull’utilizzo di carte di credito. Gli investitori che utilizzano i circuiti Visa e Mastercard hanno scoperto negli ultimi giorni che le commissioni per gli acquisti sul criptomercato sono più che raddoppiate.
Quel che è successo è che i due circuii globali hanno scelto di modificare il modo in cui le operazioni in questo settore sono classificate: da semplice “acquisto” sono finite sotto l’etichetta di “anticipo di valuta”, quella che si utilizza al bancomat per avere contanti con carta di credito. Il risultato è che le commissioni normali, pari al 4%, finora applicate alle normali transazioni, per esempio su Coinbase, per evitare la lentezza del bonifico bancario, sono lievitate di un altro 5% che viene richiesto dalla carta di credito in aggiunta alla commissione applicata da Coinbase.
Inoltre le operazioni di anticipo di valuta su criptovalute vengono contabilizzate su più giorni e quindi la commissione supplementare rischia di lievitare ulteriormente: in un caso, segnalato da TecCrunch, si è arrivati a 25,99 dollari.
Niente più carte per bitcoin
Già le banche tradizionali hanno deciso di bloccare l’uso delle loro carte di credito per la compravendita di criptovalute. In un momento di grande ribasso delle quotazioni, crollate a 6.000 dollari da un picco di quasi 20.000 toccato a metà dicembre, il timore è che i clienti si indebitino con la carta per l’acquisto di valute senza essere in grado poi di coprire le perdite. Questa settimana lo ha fatto Lloyds Bank, seguendo le orme di JP Morgan Chase e Citigroup.
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