«Black Panther», un film Marvel curioso e suggestivo
di Andrea Chimento
3' di lettura
I film Marvel continuano a essere protagonisti nelle nostre sale: dopo il successo di «Thor: Ragnarok» (uscito in autunno) e in attesa di «Avengers: Infinity War» (in arrivo ad aprile) e di «Ant-Man and the Wasp» (previsto per luglio), questa settimana esce al cinema «Black Panther», personaggio creato da Stan Lee e Jack Kirby nel 1966.
Già presente in «Captain America: Civil War», Black Panther ha ora un film tutto per sé, diretto da Ryan Coogler, già regista di «Prossima fermata Fruitvale Station» e «Creed – Nato per combattere».
Dopo la morte del padre, il giovane principe T'Challa torna a casa per salire sul trono del Regno di Wakanda, un'immaginaria nazione nel continente africano, isolata ma tecnologicamente avanzata. Quando alcuni pericolosi nemici cospirano per portare il paese alla distruzione, T'Challa tornerà a combattere indossando i panni di Black Panther.
Dopo diversi progetti rimasti solo sulla carta (all'inizio degli anni Novanta ci aveva provato persino Wesley Snipes), Coogler è riuscito a dare vita a un film sul supereroe africano decisamente curioso e diverso dagli altri prodotti del Marvel Cinematic Universe.
In questo caso è molto più profondo il collegamento fra il personaggio e le sue radici, la cultura e la terra d'origine, ben valorizzata da scenografie suggestive e da un immaginario visivo complessivamente efficace.
Oltre a una messinscena di buona fattura, si segnalano anche diverse riflessioni geopolitiche (relative all'Africa e alla cultura black in generale) di grande attualità, presenti anche nelle classiche scene che accompagnano i titoli di coda.
Se molti spunti sono particolarmente interessanti, diversi limiti sono da annoverare a una sceneggiatura non sempre appassionante al punto giusto, che fa leva su un susseguirsi di eventi spesso prevedibile.
La lunghezza eccessiva (circa 135 minuti) inoltre non aiuta, ma gli autori hanno comunque rispettato al meglio la natura del personaggio principale, riuscendo a renderlo un supereroe capace di coinvolgere anche sul grande schermo.
Altra uscita attesissima è «La forma dell'acqua», il nuovo film di Guillermo Del Toro che ha vinto il Leone d'oro all'ultima Mostra di Venezia.
Ambientato a Baltimora durante la Guerra Fredda, racconta di una donna delle pulizie di un laboratorio di massima sicurezza che scopre un esperimento top secret a cui sta lavorando il governo americano. Sì troverà di fronte una misteriosa creatura proveniente dall'Amazzonia con la quale cercherà di stabilire un contatto.
Emozionante e poetico, «La forma dell'acqua» è una favola dal sapore fiabesco con la quale Del Toro torna alle atmosfere de «Il labirinto del fauno».
Rifacendosi a un classico dell'horror come «Il mostro della laguna nera» del 1954, Del Toro firma una pellicola perfettamente ambientata nel contesto storico-politico di riferimento, riuscendo a toccare corde particolarmente profonde in diversi passaggi.
Nonostante alcune svolte narrative prevedibili, questa emozionante storia d'amore è un film da non perdere, un raffinato omaggio al cinema di quegli anni e un commovente antidoto al cinismo contemporaneo. Da segnalare che «La forma dell'acqua» partirà anche in prima fila per la conquista degli Oscar più importanti: ha 13 nomination ed è tra i grandi favoriti della cerimonia in programma il prossimo 4 marzo.
Infine, una menzione per «A casa tutti bene», nuova pellicola di Gabriele Muccino. Al centro c'è una famiglia molto numerosa che si riunisce per le Nozze d'Oro dei genitori. Quando è il momento di ripartire dall'isola su cui sono sbarcati per i festeggiamenti, il maltempo e un'improvvisa mareggiata bloccheranno tutti sul posto. Tensioni sopite e reciproci rancori esploderanno ben presto.
Opera corale con cui Muccino torna a scandagliare le complesse dinamiche relazionali e familiari, «A casa tutti bene» è un film dal soggetto interessante, che si perde però a causa di una messinscena troppo caricata e di un ritmo che funziona a fasi alterne.
Il cast è ricchissimo di volti noti (da Stefano Accorsi a Stefania Sandrelli, passando per Pierfrancesco Favino, Sandra Milo e tantissimi altri), ma anche la recitazione è complessivamente troppo sopra le righe e si fatica a empatizzare con i personaggi in scena. Da segnalare che Muccino ha scritto il film insieme a Paolo Costella, uno degli sceneggiatori di «Perfetti sconosciuti».
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