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Blockchain oltre la tracciabilità: agrifood terzo settore per numero di applicazioni

La «catena dei blocchi» potrà integrare tutte le transazioni garantendo efficienza, risparmi e trasparenza

di Pierangelo Soldavini

Le applicazioni della blockchain riguardano principalmente materie prime e prodotti

4' di lettura

In Francia c’è un’applicazione, in mano a dodici milioni utenti, che promuove o boccia un prodotto. Basta inquadrare il codice a barre e Yuka fornisce il suo giudizio sulla sua qualità: aspetti nutrizionali, presenza di additivi e biologicità. Lo fa solo sulla base delle informazioni contentue sull’etichetta, senza nessuna garanzia che le stesse siano efficaci e reali. Si educa insomma il consumatore a porsi un problema corretto – la qualità del prodotto che si accinge a comprare – inducendolo però ad accontentarsi di una risposta parziale e non garantita.

Sotto questo profilo la blockchain rappresenta uno strumento ideale per rendere tracciabili, sicuri e condivisibili i dati di qualsiasi bene, dalle singole materie prime al prodotto finale, garantendo la trasparenza di ogni singolo passaggio. È per questo che la tecnologia della “catena dei blocchi” sta facendo breccia nella filiera dell’agroalimentare: dal vino alla grande distribuzione, dalla catena del freddo alla mozzarella di bufala, dal caffè alla pasta, si moltiplicano anche in Italia i sistemi blockchain per garantire la tracciabilità e la provenienza sicura di ogni singolo prodotto.

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Superata la logistica nelle applicaizoni
Non è quindi un caso se le applicazioni in ambito agrifood abbiano superato a livello globale la logistica come terzo settore di sperimentazione – dopo finanza e pubblica amministrazione – con una quota del 10% dei 158 nuovi progetti avviati lo scorso anno. Analogamente il tracciamento e la supply chain sono al terzo posto, con il 20%, per quanto riguarda i processi interessati dalla tecnologia.

La blockchain nel biologico: standard comuni per la tracciabilità

«La tecnologia c’è e si sta consolidando, aumenta in maniera decisiva i livelli di garanzia e di trasparenza della filiera. Ma per il momento non può fornire la certificazione, che oggi viene adottata sulla base di analisi e di processi», sostiene Renato Grottola, global director digital assurance & supply chain di Dnv Gl.

La differenza delle «architetture» private
La blockchain è diventata famosa soprattutto grazie al bitcoin, ma è bene mettere in chiaro che in questi ambiti non si parla in generale di quella blockchain, ma di altre architetture “permissioned”, private: in sintesi, a differenza della criptovaluta, nella “catena dei blocchi” in ambito industriale a immettere – e quindi anche a vedere – i dati legati al prodotto e alle varie fasi di lavorazione, trasporto e logistica sono solamente gli attori che sono autorizzati da un soggetto centrale, cioè l’azienda che ha organizzato l’intero sistema.

«La blockchain nasce proprio per rendere sicuri e tracciati gli scambi tra soggetti che non si conoscono – spiega Marcello Majonchi, principal program manager Azure Global Engineering di Microsoft –. E questa è la vera sfida per passare dalla teoria alla pratica: i progetti per diventare realmente industriali richiedono un ecosistema. Il settore agrifood e l’ambito della supply chain rappresentano chiaramente scenari applicativi promettenti, perché per loro natura implicano una particolare necessità di sicurezza e tracciabilità in virtù della complessità dei flussi e dell’esigenza di controllo delle materie prime».

Lo scetticismo delle aziende
Come in altri settori, la tecnologia fatica ancora a convincere le aziende. Senz’altro è molto complessa e faticosa da comprendere, rimanendo prevalentemente in mano ai fornitori tecnologici senza che l’azienda riesca a comprenderne appieno i potenziali benefici e le proprie esigenze. Ma i progetti rimangono finora piuttosto semplici, limitati al tracciamento delle materie prime. Ma le potenzialità vanno ben oltre.

«A differenza di altri settori, a partire dalla finanza, i progetti partiti in ambito agrifood si sono concentrati prevalentemente sull’aspetto della tracciabilità, di sicuro valore per il made in Italy alimentare – sostiene Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Blockchain& Distributed Ledger del Politecnico di Milano –. Ma è auspicabile che l’attenzione si sposti verso una visione di ecosistema, integrandosi con l’intera filiera e gestendo tutte le transazioni tra i soggetti della supply chain: da qui potrà derivare un maggior valore per le aziende».

Il caso del vino di EY
Si tratta di integrare le mere informazioni con le transazioni che avvengono lungo il percorso. Il progetto Tattoo Wine, sviluppato da EY, affianca al tracciamento la “tokenizzazione”, la trasformazione in un ”gemello digitale” del vino, che a quel punto può essere oggetto anche di smart contract, di contratti intelligenti che si concludono da soli al verificarsi di specifiche condizioni.

«Credendo che il futuro della tecnologia blockchain si baserà sulla blockchain pubblica, abbiamo lanciato il programma EY Nightfall per realizzare transazioni private su tecnologia pubblica - afferma Giuseppe Perrone, Blockchain Hub Mediterranean leader di EY –: questo modello rappresenta il primo passo verso una soluzione interamente condivisa. Ciò è stato possibile attraverso un modello ibrido basato su Quorum, la versione “privata” di Ethereum, per abilitare una condivisione di dati limitata, e integrato con la blockchain di Ethereum per garantirne inviolabilità e sicurezza».

È un primo passo verso una blockchain di sistema che renda evidente tutto il suo valore: adesso vengono registrati passaggi legati a spedizioni, consegne, stoccaggio, coperture assicurative. Domani si potrà ampliare anche a tutte le transazioni, pagamenti e fatturazioni comprese.

Per approfondire:
Logistica, big data e blockchain: ecco l'e-commerce 4.0 nel food

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