Blue food, si punta a ridurre i casi di malnutrizione a 166 milioni entro il 2030
Dalle alghe agli animali marini: secondo 100 scienziati che hanno costituito il Blue food assessment, il “cibo blu” aiuterà nel raggiungimento del 2 goal dell’Onu
di Daniela Russo
3' di lettura
Il “cibo blu” come risposta alla domanda alimentare globale in costante crescita. Secondo l’Onu, entro il 2050, la popolazione mondiale sfiorerà quota 10 miliardi, con effetti diretti sull’accesso alle risorse alimentari, oltre che sull’ambiente. Per garantire cibo a sufficienza alle generazioni future e minimizzarne l’impatto sull’ecosistema, una soluzione è rappresentata proprio dagli alimenti acquatici: animali, piante e alghe coltivati e catturati in acqua dolce e in altri ambienti marini. Ad affermarlo sono gli oltre 100 scienziati, provenienti da 25 Paesi diversi, che hanno dato vita al Blue Food Assessment (Bfa), in collaborazione con lo Stockholm Resilience Centre, la Stanford University e l’EAT. Da ricordare che il secondo goal dell’Onu, da raggiungere entro il 2030, è “Sconfiggere la fame”.
Bfa nasce proprio con l’obiettivo di valutare il ruolo che gli alimenti acquatici possono svolgere per ottenere diete più sane e un sistema alimentare resiliente, equo e più sostenibile. Nato lo scorso giugno, conta già diverse pubblicazioni su Nature relative al cibo blu, che – grazie anche al ricorso alle nuove tecnologie – consentirebbe un abbattimento dei costi di produzione del 26% entro il 2030, favorendo una riduzione dei casi di carenze nutritive. Infatti, un incremento dell'8% della produzione, pari a 15,5 milioni di tonnellate, entro il 2030, ridurrebbe i casi di malnutrizione a quota 166 milioni.
Le cinque priorità
Cinque le priorità: riconoscere e integrare questi alimenti nel sistema alimentare globale, investire in questa direzione, riformare politiche e pratiche della pesca, prestare maggiore agli attori più piccoli della filiera, aumentare il coinvolgimento delle donne, che costituiscono quasi il 50% dei pescatori di cibo blu con una parte limitata nel processo decisionale.
Investire nello sviluppo di questa industria, secondo gli studiosi, consentirebbe di favorire la tutela della diversità delle specie alimentari. Quasi il 75% del cibo consumato a livello globale proviene solo da dodici piante e cinque specie animali. L’ecosistema marino offre una varietà di oltre 2.500 qualità che possono fornire un’ampia gamma di minerali, vitamine e macronutrienti, con il duplice beneficio, quindi, di offrire anche un elevato contenuto nutrizionale.
Impronta ambientale ridotta
Infine, il cibo blu ha una impronta ambientale ridotta. Non solo produce minori emissioni di gas serra e inquina meno, ma il ricorso alla terra e alle risorse idriche è limitato rispetto agli alimenti animali terrestri.
Il report “Water scarcity: addressing the key challenges” di Credit Suisse, pone l’accento sul consumo d’acqua legato a quello di alimenti ad alta intensità idrica. La crescita della ricchezza nelle economie emergenti è destinata a tradursi nell’aumento del consumo di cibo e calorie pro-capite.
La domanda globale di cibo
Secondo la Fao, la domanda globale di cibo aumenterà tra il 60 e il 100% entro il 2050. Con pari livelli di incremento sui prelievi di acqua. L’aumento dei redditi avrà come conseguenza un maggior consumo di proteine e il bestiame richiederà un significativo consumo d’acqua.
Intercettare le opportunità di crescita della filiera del cibo blu diventa una priorità anche per le case di investimento. È ancora Credit Suisse a porre l’accento sugli sviluppi dell'acquacoltura, nello studio “Engaging for a Blue Economy”, dove offre una panoramica delle attività che stanno contribuendo a trasformare il settore.
Tra le iniziative c'è Aqua-Spark, fondo d’investimento dei Paesi Bassi che investe in acquacoltura sostenibile lungo tutta la catena del valore, con impatto ambientale e sociale positivo. In portafoglio ci sono imprese di piccole e medie dimensioni che lavorano per la produzione di vita acquatica sicura e accessibile, come Matorka, fattoria islandese che ha sviluppato un metodo innovativo per l’allevamento su terraferma di carrara artica e trota salmonata. Non usa antibiotici, prodotti chimici o ormoni ed è alimentata da energia rinnovabili, i pesci sono nutriti con una dieta sostenibile.
Anche i frutti di mare alternativi rappresentano una prospettiva per l'alimentazione futura, con effetti positivi sulla biodiversità perché prodotti in laboratorio, con il ricorso a piante e cellule staminali adatti al consumo da parte dell'uomo. Finless Food, ad esempio, usa la biologia cellulare per coltivare cellule di animali marini, come il tonno a pinna blu, privi di mercurio, microplastiche e antibiotici.
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