Blue Shield: salvate i civili, poi pensate a chiese e collezioni
Si ricordano gli obblighi internazionali alla Russia, i direttori dei musei mettono al sicuro le collezioni e Gerstenblith avvisa: il mercato dell'arte sarà invaso da beni saccheggiati dall’Ucraina
di Giuditta Giardini
I punti chiave
4' di lettura
Con una formale dichiarazione di guerra, l'invasione delle frontiere ucraine e le bombe su Kiev, la Russia di Putin non sembra volersi fermare. Le bombe che piovono sulla capitale dell'Ucraina non colpiscono soltanto edifici strategici, ma sono coinvolte abitazioni private e civili. I monasteri e le chiese ucraine tornano a svolgere quella funzione di asilo e di rifugio che hanno già svolto in Europa durante le passate guerre. Suore e monache sono decise a non evacuare il paese per continuare le loro mansioni religiose ed accogliere possibili feriti, presidiano edifici che non dovrebbero essere bersagli, protetti, in teoria, da generose buffer zone. Ma le ferite del secondo conflitto mondiale ancora impresse sui nostri conventi e chiese raccontano un'altra storia.
Tra questi edifici, c'è la chiesa più antica di Kiev, la Cattedrale di Santa Sofia e il suo complesso monastico, che fu il primo edificio ucraino ad essere incluso nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco (Convenzione del Patrimonio Mondiale del 1972), nel 1990, un anno prima dell'indipendenza del paese. Nel 1998 è stata poi la volta della città medievale di Leopoli; seguita, nel 2005, dall'arco geodetico di Struve, poi la residenza dei metropoliti bucovini e dalmati, costruita dall’architetto ceco Josef Hlávka (2011); l'antica città di Chersoneso Taurica e la Chora a Sebastopoli (2013); e, nel 2013, le Tserkvas in legno della regione dei Carpazi.
Blue Shield allarme per i beni culturali a rischio
A scongiurare la distruzione dei principali beni culturali dello stato è intervenuto il Blue Shield, il Comitato nato in seno alla Convenzione dell'Aia del 1954 per la protezione di beni culturali in caso di conflitto armato (1954). In uno statement del 25 febbraio 2022 il Blue Shield si rivolge ad entrambi i paesi parte della Convenzione dell'Aia: “siamo sconcertati dall'escalation del conflitto in Ucraina. Chiediamo il rispetto delle norme internazionali e di proteggere i civili dove e quando sia possibile. Sottolineiamo le responsabilità di coloro che sono coinvolti dagli obblighi derivanti dalla Convenzione dell'Aia del 1954 e dai suoi due protocolli (1954, 1999). Il Blue Shield è pronto ad assistere chiunque, coinvolto nel conflitto, intenda proteggere i beni culturali dell'Ucraina e lavorare per la fine immediata della guerra”.
Perché l'appello alla Convenzione dell'Aia?
La Convenzione adottata sotto l'auspicio dell'Unesco nel 1954 all'Aia è il primo accordo internazionale sul diritto della guerra ad interessarsi della protezione dei beni culturali durante un conflitto armato. Il trattato, ratificato da entrambi i paesi belligeranti nel 1957, impone al paese occupante e a quello occupato di astenersi dall'utilizzare beni culturali immobili come basi militari o comunque per scopi che potrebbero esporli al rischio di distruzione, vandalismo o rappresaglia. Prevede, inoltre, per il paese occupante obblighi di protezione verso i beni culturali del paese occupato, imponendo, ad esempio, l'obbligo di non prendere come target beni che siano contrassegnati dal cosiddetto scudo blu, emblema della Convenzione. Lo scudo, oltre ad essere posto su centri monumentali di rilievo (per l'Italia, il Mausoleo di Augusto o i Fori imperiali), è utilizzato anche per contrassegnare quei rifugi destinati ad accogliere e quindi proteggere beni culturali (come fu, in Italia, Sassocorvaro per volontà di Pasquale Rotondi). I beni così contrassegnati godono di immunità da assalti e ostilità militari. Di particolare rilevanza è anche il primo protocollo della Convenzione dell'Aia che stabilisce l'obbligo di restituire al paese d'origine i beni d'arte (mobili), definiti come tali dalla Convenzione, che abbiano passato mano durante la guerra.
Le collezioni pubbliche a rischio
Non sarà una Convenzione sui beni culturali a fermare Putin, lo sappiamo. Eppure la volontà di proteggere l'identità culturale ucraina è forte. Proprio sulle sorti delle collezioni culturali del paese occupato è intervenuto il direttore del Museo della Libertà di Kiev, Ihor Pochyvailo, che ha riferito al New York Times di avere un piano per prepararsi alla guerra, ma, in questo caso, tutto è successo troppo in fretta. La guerra infatti, come sostiene la vice presidente americana Kamala Harris a Monaco: “non è stata provocata ed è totalmente inaspettata”. “Quando il personale del museo si è riuscito ad organizzare per evacuare i pezzi principali della collezione le strade erano già bloccate dall'esodo degli ucraini” ha riferito Pochyvailo. Secondo il direttore la collezione del Museo della Libertà sarebbe quella più a rischio perché contiene circa 4.000 cimeli legati alla lotta per la democrazia ucraina, come bandiere e manifesti. Un altro museo a rischio è il Museo della Storia dell'Ucraina che raccoglie cimeli della storia della guerra del 2014 tra Ucraina e Russia per il Donbass.
I due musei hanno fatto sapere di stare spostando le loro collezioni in “luoghi sicuri” non noti. I tanti piccoli musei sparpagliati per l'Ucraina ospitano capolavori di Bellini, Goya, Rubens e Jacques-Louis David che potrebbero andare perduti. Oggi, sembra già molto tardi per approntare strategie di salvaguardia, mentre si dovrà più grossolanamente salvare il salvabile con ogni mezzo.
Le “sanzioni culturali”
Nel frattempo la comunità internazionale degli esperti che si muovono tra il diritto e la protezione dei beni culturali osservano e commentano. La maggiore esperta di diritto dei beni culturali statunitense, docente alla De Paul University e consigliera del governo americano per questioni che riguardano i beni culturali, Dr. Patty Gerstenblith, in un'intervista rilasciata a NPR sostiene che le istituzioni culturali occidentali dovrebbero interrompere ogni rapporto di diplomazia culturale con la Russia. “Non credo che questo sia il momento per scambi culturali o collaborazioni di sorta” chiosa la Gerstanblith. “Capisco che i musei in occidente non siano molto contenti di interrompere le relazioni con la Russia, ma è necessario che prendano una posizione”. Secondo Gerstenblith il prossimo ad essere colpito sarà il mercato dell'arte occidentale che potrà essere invaso di oggetti rubati dai territori occupati dell'Ucraina. Già da ora il mercato dell'arte europeo e statunitense dovrebbe prendere misure per contenere l'entrata di antichità e beni d'arte ucraini senza sicura provenance.
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