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Bolsonaro contro Lula in un Brasile che non cresce più

Il capo della destra e presidente in carica è indietro nei sondaggi rispetto al leader storico della sinistra: sul voto le difficoltà delle famiglie pesano più delle posizioni ideologiche

di Luca Veronese

Brasile, tensione nel faccia a faccia tra Lula e Bolsonaro

3' di lettura

Un Brasile spaccato in due vota oggi per scegliere il prossimo presidente. Jair Bolsonaro, capo dell’ultra destra populista e presidente in carica, è stato costretto a rincorrere, dopo essere stato travolto dal Covid e da una gestione pessima dell’emergenza sanitaria che ha oscillato tra negazionismo e superficialità, mentre la pandemia uccideva 700mila brasiliani e colpiva in modo pesantissimo le attività economiche: gli ultimi sondaggi della vigilia gli assegnano almeno cinque punti percentuali di svantaggio sul leader della sinistra, Lula da Silva, presidente dal 2003 al 2011, incarcerato con l’accusa di corruzione nello scandalo Petrobras e poi rinato dopo essere stato prosciolto da ogni accusa.

Duello all’ultimo voto

Ma già al primo turno i sondaggi avevano sottostimato il consenso di Bolsonaro e anche per questo la destra, dopo avere esultato per essere riuscita a portare Lula al ballottaggio, ora spera nella grande vittoria in rimonta. «L’economia brasiliana sta per decollare, ora abbiamo una delle migliori economie del mondo», ha detto Bolsonaro, con molta convinzione e altrettanto ottimismo, nell’ultimo faccia a faccia in diretta tv. «I brasiliani sapranno scegliere tra la democrazia e il fascismo, tra la democrazia e la barbarie», ha ribattuto Lula.

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I due sono divisi su tutto (come l’elettorato che li sostiene) e nel corso della campagna elettorale, lo scontro è stato ideologico, personalizzato, a tratti violento. Poco si è discusso di ambiente e di Amazzonia, pochissimo si è parlato di politica estera: Bolsonaro (67 anni) ha attaccato Usa ed Europa per le sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin dopo l’invasione dell’Ucraina e anche per questo Washington ha fatto capire di puntare sull’esperienza di Lula (77 anni). Ma nemmeno si è discusso in modo approfondito della deindustrializzazione dell’economia brasiliana, di riforme dell’amministrazione del fisco, o della necessità urgente di investire nelle infrastrutture e nell’istruzione.

Compito arduo

Chi prevarrà, e governerà il Brasile per i prossimi quattro anni, avrà il compito difficile di ricomporre le fratture sociali lasciate dalla pandemia, in un Paese nel quale almeno 30 milioni di persone soffrono la fame e un terzo dei posti di lavoro sono precari e sottopagati.

Ma il prossimo presidente si troverà di fronte a un’economia imballata, a dispetto delle rassicurazioni della destra. Il boom delle materie prime di inizio secolo aveva fatto del Brasile il simbolo degli emergenti, la B dei Brics, garantendogli un posto tra le grandi potenze globali. Poi dal 2014 è iniziato un crollo, dal quale il Paese non si è ancora ripreso: nel decennio terminato nel 2021, il Pil è cresciuto in media solo dello 0,15% all’anno. Il Fondo monetario internazionale stima che il Pil dopo gli incrementi del 4,2 e del 2,8% registrati in questi ultimi due anni, «farà fatica a raggiungere un aumento dell’1% nel 2023».

Le difficoltà economiche avranno un peso decisivo nella scelta dei 156 milioni di brasiliani chiamati a votare: gli aumenti dei prezzi di beni alimentari e benzina colpiscono con maggiore forza il 30% della popolazione che vive con meno di 100 dollari al mese.

Le politiche promesse dai due candidati

Bolsonaro guarda all’agroindustria che fa il 40% del Pil, ai fedeli delle chiese evangeliche più conservatrici, alle lobby delle forze militari e delle armi. Promette di insistere sulle privatizzazioni e sulla sua agenda pro-business ma non è più l’outsider del 2018. E mentre non rinuncia, lui ex capitano dell’esercito, a elogiare i tempi della dittatura militare, guadagna terreno sfruttando misure sociali come il raddoppio a 600 real a mese (circa 110 euro) dell’assegno per le famiglie più in difficoltà.

Lula pesca nel passato meno lontano, negli anni di forte espansione che il Brasile ha vissuto sotto la sua presidenza. Riafferma i diritti delle classi povere, delle donne, dei popoli dell’Amazzonia e della comunità Lgbt+ contro la destra dichiaratamente omofoba e reazionaria. E intanto si sforza di rassicurare i mercati internazionali, proponendo un’alleanza di governo ampia, quasi di centro, per mettere assieme il sostegno sociale al rigore di bilancio, alla gestione attenta della spesa pubblica che - dice - sono anch’essi «necessari per la credibilità e il rilancio del Brasile».

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