Bonomi: dal ministro Orlando nessuna proposta su salari e taglio del cuneo fiscale
Il presidente di Confindustria: taglio del cuneo unica strada. Contratti di Confindustria già oltre il livello di salario minimo di cui si parla. Dai partiti un freno “elettorale” alla riforme necessarie
di Luca Orlando
4' di lettura
Tagliare il costo del lavoro è l’unica strada. Anche perché guardando alle proposte giacenti in Parlamento sul salario minimo, tutti i contratti che riguardano Confindustria sono già oltre quei livelli.
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, ribadisce nella giornata conclusiva del Festival dell’Economia di Trento il punto di vista delle imprese, che chiedono un taglio robusto del cuneo fiscale per sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori.
«Il Def - spiega - ipotizza un extragettito di 38 miliardi: possiamo destinare la metà di questa cifra ad abbassare il cuneo fiscale italiano, che è molto oltre la media Ue. Ricordo che la spesa pubblica vale mille miliardi, credo che trovare l’1,6% di questa cifra sia fattibile».
Nessuna proposta da Orlando
Un dibattito tra parti sociali che non decolla, quello sul costo del lavoro, a cause delle asimmetrie nei comportamenti. «La mia proposta è chiara - scandisce Bonomi - mentre quella del ministro del Lavoro Orlando ancora non l’ho sentita. Se qualcuno l'ha sentita io sono disposto a mettermi a un tavolo e se la sua proposta è migliore della mia la firmo subito».
Bonomi respinge le accuse di voler ostacolare le firme sui contratti («in due anni ne abbiano rinnovati 28 nazionali e dei 7 milioni di lavoratori in attesa di rinnovo solo 240mila sono nell’industria» e respinge anche la tesi secondo cui la soluzione andrebbe trovata nel salario minimo. «Il livello di cui si parla, nove euro all’ora, è già superato da tutti i nostri contratti nazionali, da questo punto di vista è un tema che non riguarda Confindustria. Piuttosto, occorre agire per contrastare le sacche di lavoro opaco, le false cooperative, i contratti in dumping, che non dovrebbero proprio esistere».
«Il tema - aggiunge - è se si vuole ragionare veramente e costruire un modello con un Reddito di cittadinanza, o piuttosto strumento serio di lotta alla povertà, un salario minimo per quei settori che non hanno contratti, i salari minimi tabellari previsti dai contratti collettivi nazionali e in trattamento economico collettivo in cui entra il welfare e altre cose. Se è così mettiamoci intorno ad un tavolo e costruiamo un sistema di questo tipo. Altrimenti facciamo demagogia».
Al ministro Orlando Bonomi chiede di agire senza indugio nella lotta all’illegalità, contrastando ad esempio il caporalato e verificando sul campo che cosa accade nei territori più a rischio. «Se il ministro vuole davvero combattere il lavoro nero e chi lo sfrutta, domani andiamo a Rosarno, lì c'è una sacca di illegalità, è due anni che lui è ministro” e su questo ha tutto l'appoggio di Confindustria». «Colpire il lavoro nero è possibile - spiega - ma solo se c’è la volontà politica».
I 200 euro erogati una tantum, «finiti già con la prima bolletta», non sono per Bonomi la soluzione del problema all’aumento dei prezzi, comunque contenuto in Italia al di sotto della media Ue per effetto di un assorbimento di parte degli extra costi da parte delle imprese.
Riforme ingessate dai partiti
Perplessita da parte del leader di Confindustria anche sulla capacità di procedere sull strada delle riforme, spinta avviata in modo importante che da fine 2021 si è però affievolita, come dimostra la nuova normativa sulla concorrenza («che dal Parlamento uscirà certo annacquata»). E il motivo del rallentamento è l’approssimarsi delle scadenze di voto.
«Il Governo - spiega - aveva iniziato un’azione riformatrice importante, ora è rallentata. I partiti sono già in campagna elettorale, stanno posizionando le proprie “bandierine” e questo non va bene. Perché le riforme servono al Paese, quello che occorre è una fase di riformismo competitivo, l’aspetto che ritenevamo e riteniamo tuttora più importante nel Pnrr: sono riforme che al Paese servono per battere le diseguaglianze».
Bonomi ribadisce la propria contrarietà al modo in cui sono stati tassati gli extra-profitti dell’energia, problema che avrebbe dovuto essere affrontato alla radice imponendo un tetto ai prezzi. «Solo così - spiega Bonomi - avremmo evitato alla radice questi extraprofitti, che invece ora in grandissima parte sono ancora pagati da famiglie e imprese».
Ipotesi di un tetto al prezzo del gas che ora è finalmente entrata nella discussione in Europa («si parla di un’ipotesi di 60 euro, Draghi è stato molto bravo a portare questa posizione), anche se guardando agli ostacoli posti da Austria, Germania e Olanda la strada pare ancora in salita.
L’invasione russa in Ucraina e il nuovo ordine mondiale
Sullo sfondo restano le difficoltà create dall’invasione della Russia in Ucraina, con il meccanismo delle sanzioni che se ha congelato gli stock esteri della Banca Centrale non ha potuto ancora intaccare i flussi, che in grandissima parte derivano proprio dalle vendite di gas. «Così come sono strutturate - spiega - è evidente che le sanzioni non stanno ancora producendo un grandissimo effetto».
L’auspicio è quello del raggiungimento di una pace veloce, anche se in parallelo occorre iniziare a ragionare sull’assetto geopolitico futuro. Ragionamento da sviluppare in modo pragmatico, riflettendo sul fatto che di fatto si stanno gettando «i pilastri del nuovo ordine mondiale».
«Cina e Russia detengono le materie prime, risorse vitali per l’Europa e in particolare per un paese di trasformazione come l’Italia. Un reshoring parziale potrà avvenire, ad esempio per le tecnologie. Ma dobbiamo essere realistici e capire come poter continuare ad accedere alle commodity. Ecco perché credo che piuttosto che puntare ad un contrapposizione per blocchi il processo di pace dovrà tenere conto anche di Cina e Russia».
Strada complessa, in cui l’Italia può essere protagonista, con Draghi ad avere tutte la caratteristiche per far svolgere al Paese un ruolo importante. Anche se Bonomi ricorda subito il «problema in arrivo», cioè il voto del 2023.
«In generale - conclude - dobbiamo però entrare in un’ottica diversa, in cui l’industria è un tema di interesse nazionale».
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