Bonus fiscali, tasse piatte e famiglia: i freni alla corsa per la nuova Irpef
Il taglio del cuneo fiscale riapre il cantiere dell’imposta. Tra i nodi la giungla di tax expenditure e la concorrenza delle sostitutive
di Marco Mobili e Salvatore Padula
8' di lettura
Una legge delega per la “mission impossible” della riforma dell’Irpef. In questi giorni sta prendendo forma il decreto legge attuativo della manovra per distribuire, a partire dal prossimo luglio, i tre miliardi di euro destinati al taglio del cuneo fiscale nel 2020 (5 miliardi nel 2021, che potrebbero diventare 6). Si tratta, in concreto, di un’evoluzione del bonus Renzi, con la quale oltre a ritoccare all’insù gli “80 euro” per chi già li percepisce (che salirebbero a 100 euro) si consentirà a 4,3 milioni di lavoratori dipendenti, oggi esclusi dal beneficio, di ricevere uno sconto fiscale mensile di 80 euro (a scalare per i redditi più elevati, intorno ai 40mila euro). Complessivamente il bonus riguarderà, da luglio2020, 16 milioni di dipendenti.
Questa operazione dovrebbe essere la “fase uno” di un percorso più articolato, da attuare eventualmente per moduli successivi, con la finalità di rimettere ordine nella tassazione delle persone fisiche. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha rilanciato venerdì17 gennaio l’avvio di un confronto all’interno delle forze di maggioranza per gettare le basi di un testo di legge delega per la riforma dell’Irpef. Una riforma che, nelle parole del ministro, avrebbe come obiettivo prioritario la riduzione del carico fiscale per i redditi bassi ma anche per il ceto medio (in direzione opposta rispetto ai progetti di flat tax targati Lega), con attenzione al sostegno delle famiglie, alla semplificazione e alla revisione del sistema delle tax expenditures.
Primati e le stravaganze dell’imposta personale
I “difetti” dell’imposta personale sono ben noti e sono all’attenzione di molti studiosi. L’Irpef è l’imposta dei record. E dei paradossi. È certamente l’imposta più importante del nostro sistema fiscale: riguarda 41,2 milioni di contribuenti, che sono in larga parte - ovvero nell’83,7% dei casi in base al reddito prevalente e addirittura l’88,6% guardando al reddito posseduto - lavoratori dipendenti e pensionati.
Raccoglie 157 miliardi di gettito (oltre a 16 miliardi di addizionali): gettito che, ancora, proviene per l’82,9% da dipendenti e pensionati. Il 7,1% dei contribuenti più abbienti - non sempre dei paperoni, in realtà, visto che stiamo parlando di chi dichiara un reddito superiore a 50mila euro con imposta netta positiva - genera il 39,2% del gettito complessivo. Per contro, il 92,9% dei contribuenti ha un reddito inferiore a 50mila euro, con un’imposta netta pari al 60,8% del gettito totale. Solo 467mila contribuenti dichiarano più di 100mila euro di reddito, poco più di 38mila arrivano oltre quota 300mila euro.
Evasione al top
Visti questi numeri, non è forse un caso che l’Irpef sia una delle imposte più evase, preceduta solo dall’Iva: circa 38 miliardi di euro in valore assoluto, 33 dei quali derivanti dalle attività di lavoro autonomo e di impresa (Rapporto Giovannini sull’evasione fiscale), con una propensione all’evasione al limite dell’incredibile: sfuggono al fisco 70 euro ogni 100 euro di Irpef teorica dovuta da questi contribuenti.
L’Irpef è anche particolarmente esposta a fenomeni che contribuiscono in modo significativo all’erosione della base imponibile (e dell’imposta stessa). Da un lato, una girandola di tax expenditures che finisce per snaturare l’architettura, per altro già non proprio perfetta, di aliquote nominali e scaglioni, minando il principio costituzionale della progressività. Dall’altro, una spiccata attitudine del legislatore a consentire forme sostitutive di tassazione che hanno via via trasformato l’imposta onnicomprensiva sulle persone fisiche.
Alla sua introduzione nel 1974, l’Irpef colpiva tutti i redditi, praticamente con la sola esclusione di quelli delle attività finanziarie. Poi, è stato un proliferare di tassazioni alternative e cedolari, da ultimo gli affitti e i forfait per le partite Iva, sulle quali occorre almeno una riflessione (molte indicazioni si trovato nel capitolo sull’Irpef, curato da Dario Stevanato, all’interno delle proposte di Assolombarda «Fisco, Imprese e crescita»). Come scrive Stefano Boscolo su lavoce.info, l’erosione dell’imponibile Irpef garantisce risparmi per 9,5 miliardi, il 70% dei quali andrebbe alle fasce più abbienti dei contribuenti.
L’effetto di tutto ciò è di rendere difficilmente contestabile l’affermazione secondo cui l’Irpef sarebbe oggi, nei fatti, l’imposta sul lavoro dipendente, sulle pensioni e poco più. Come spesso accade, però, un conto è individuare le criticità e un altro è trovare, condividere e adottare i rimedi e le soluzioni.
Tax expenditures; aliquote-scaglioni, detrazioni e progressività; incapienti e sostegno alle fasce svantaggiate; tassazione su base familiare con quoziente-splitting; riordino e riduzione dei regimi sostitutivi. E ancor prima, se possibile, il tema dei temi, ovvero il reperimento delle risorse necessarie per una riforma che, insieme alle semplificazioni, porti anche un indispensabile alleggerimento del carico fiscale. Se mai il governo avrà il tempo per approvare una riforma e farla entrare in vigore, sarà infatti difficile immaginare che il nuovo corso dell’Irpef non debba avere tra le sue priorità proprio la riduzione del prelievo. Cosa complicata vista anche l’esigenza di tornare a riflettere sull’Iva e sul possibile aumento delle aliquote se non verrà disinnescata la clausola di salvaguardia, che nel 2021 vale 18,4 miliardi di euro e 25 nel 2022.
Il Vaso di Pandora delle tax expenditures
Certo, non si parte zero. Ci sono già i 5-6 miliardi di euro destinati al taglio del cuneo fiscale nel 2021; qualcuno pensa ai quasi 10 miliardi di euro del bonus Renzi. Tuttavia, è evidente che queste poste sono in qualche modo considerate “già acquisite” (pure dai contribuenti) e immaginare una riforma in deficit appare impossibile. Anche per questo c’è molta attenzione sul capitolo delle tax expenditures, con l’evidente speranza di trovare, nelle pieghe di sconti e detrazioni da eliminare, almeno un po’ del carburante necessario per mettere in moto la riforma.
L’ottimismo va comunque frenato. Perché, a parole, quando si parla di tax expenditures, sembra essere facilissimo tagliare, ridurre o selezionare. Nella realtà, è molto più facile vedere crescere - e non ridursi - le agevolazioni, come puntualmente è accaduto anche con l’ultima legge di Bilancio. Facili da introdurre; difficile da togliere. E così il Vaso di Pandora delle agevolazioni fiscali - come lo ha definito anni fa Roberto Perotti - resta chiuso. Impossibile per i governi resistere alle pressioni delle lobby. Difficile propinare agli elettori soluzioni che di fatto equivalgono a un aumento del carico tributario.
Guardando le cifre in gioco è facile capire che solo un riordino radicale può generare risorse adeguate in funzione di una rimodulazione dell’Irpef. L’ultimo rapporto sulle spese fiscali suggerisce che quelle relative all’imposta personale valgono circa 40 miliardi di euro (escluse le detrazioni per produzione del reddito, carichi di famiglia, sostitutiva sui redditi di capitale). Se, però, si entra in profondità, si colgono le difficoltà oggettive: l’esclusione della prima casa dall’Irpef vale 3,8 miliardi; le ristrutturazioni sono a 7,5, più i 2,1 del risparmio energetico; le spese sanitarie a 3,5 e altri 2,2, se ne vanno per la previdenza integrativa. Inoltre, le spese fiscali hanno talvolta un valore intrinseco che va al di là del beneficio per i contribuenti: favoriscono comportamenti virtuosi (si pensi al risparmio energetico) oppure incoraggiano un minimo di contrasto di interesse per favorire l’emersione di operazioni che altrimenti resterebbero con più probabilità nel sommerso.
Fare qualcosa non sarà semplice. Certo, se inserita in un progetto organico di riforma dell’imposta personale, la revisione delle spese fiscali potrebbe essere più digeribile. Bisogna però avere la capacità di spiegare ai cittadini che i risparmi ottenuti verranno rimessi in gioco per alleggerire l’Irpef stessa. Che il riordino servirà per avere un’imposta più equa. Anche perché, come rileva la Corte dei conti (audizione al Senato sulla legge di Bilancio 2020) i dati delle dichiarazioni fiscali mostrano che, pur essendo i contribuenti più ricchi a evidenziare gli sconti medi più elevati (837 euro per i redditi oltre 300mila euro), sono le classi di reddito più basse, fino a 50mila euro, quelle dove si concentrano le quote più elevate di oneri detraibili: un’eventuale stretta penalizzerebbe, quindi, i soggetti più bisognosi.
Il giusto equilibrio di aliquote, scaglioni e detrazioni
Come ripete spesso Enrico De Mita, la fissazione delle aliquote di imposta, degli scaglioni di reddito e delle detrazioni appartiene alla politica, alla sfera della discrezionalità del governo. Il punto è che questa discrezionalità si è via via trasformata quasi in una sorta di arbitrio. Una stratificazione di interventi: 200 modifiche dall’entrata in vigore del Testo unico del 1986 solo su aliquote, scaglioni, detrazioni e oneri. Nel 1974, quando l’Irpef entrò in vigore, la curva del prelievo garantiva una millimetrica progressività: 32 scaglioni e aliquote, la più bassa al 10% e la più elevata al 72% per i redditi oltre 500 milioni di lire. Le correzioni a ripetizione hanno snaturato completamente il prelievo, con pesanti effetti distorsivi . Come il fatto che le aliquote marginali effettive siano talvolta superiori a quelle nominali . Oppure con i “salti” repentini di prelievo legati sia al bonus Renzi sia al passaggio dalla seconda alla terza aliquota sia ancora all’effetto delle addizionali locali.
Gli interventi possibili sono, ovviamente, infiniti. E già se ne vede traccia tanto nelle prime ipotesi all’attenzione dei partiti quanto nelle analisi condotte da tempo da ricercatori, studiosi e accademici. Così c’è chi, come il M5s, propone una riduzione del numero degli scaglioni e delle aliquote: tre livelli, rispetto ai cinque attuali. Leu, al contrario, spinge per una maggiore accentuazione della progressività, seppur più controllata e dolce rispetto a quella attuale, proponendo l’aumento del numero di scaglioni e di aliquote, in un sistema che ormai tutti definiscono “alla tedesca”. Italia Viva rilancia l'esigenza di un taglio significativo del prelievo. Mentre il Pd punta per ora su un intervento sulla terza aliquota, quella del 38%, da 28mila a 55mila euro di reddito, sia per evitare i problemi creati dal grande balzo del prelievo rispetto all’aliquota precedente del 27%, sia per ampliare i benefici a contribuenti finora quasi sempre esclusi da ogni riduzione fiscale.
Si tratta di un argomento non marginale. Anzi, come sottolineano alcuni accademici, la “nuova Irpef” dovrebbe poter contare su una progressività più morbida, ovvero senza gli “strappi” attuali, guardando anche alla classe media, per cercare di favorire una ripresa dei consumi e della crescita.Torna, quindi, anche l’eterno tema del taglio del cuneo fiscale. Naturalmente, senza trascurare il fatto che la riforma dell’Irpef deve offrire soluzioni effettive per il sostegno dei più bisognosi, si pensi agli incapienti, per i quali si dovrebbe prevedere una forma di imposta negativa o credito di imposta.
La tassazione a misura di famiglie tra splitting e quozienti
In questo scenario, diventa attuale anche un minimo di confronto sulla scelta dell’unità impositiva dell’Irpef, ovvero del soggetto passivo d’imposta. Il singolo contribuente, come avviene ora? Oppure, il nucleo familiare? Ovviamente, il confronto si annuncia complesso, anche se le intenzioni illustrate dal ministro Gualtieri possono aprire la strada a un diverso approccio, attento - rispetto alla situazione attuale - a una tassazione più favorevole dei redditi familiari (certo, si dovrà capire “quale” famiglia). Quel che è sotto gli occhi di tutti è che il sistema attuale, a parità di reddito complessivo, penalizza i nuclei mono reddito (due redditi da 30mila euro subiscono un carico fiscale inferiore a quello del nucleo mono reddito da 60mila euro, visto che la detrazione per il coniuge a carico limita, ma non elimina le differenze).
Forse, anche per il nostro sistema, è giunto il momento di pensare a sistemi di splitting o quoziente familiare, adottati in molti Paesi, che se ben calibrati consentono di eliminare queste criticità. Al suo debutto, nel 1974, l’Irpef funzionava esattamente al contrario: i redditi del coniuge (moglie) si cumulavano a quelli del capofamiglia (marito), subendo così un maggior prelievo. Il cumulo fu poi dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale nel 1976. Quarantacinque anni dopo attendiamo ancora una soluzione per alleggerire il prelievo sulle famiglie. Come si diceva una volta, meglio tardi che mai. Forse ci si può provare.
Per approfondire:
● Istat: nei primi 9 mesi 2019 pressione fiscale più alta dal 2015
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