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Boris Collardi: «Pictet crescerà in Italia ma senza acquisizioni»

di Maximilian Cellino

(AFP)

3' di lettura

«Un maratoneta e non un velocista». Si affida a un’immagine sportiva, semplice ed efficace al tempo stesso, Boris Collardi quando parla delle strategie di crescita nel nostro Paese e in generale nel mondo di Pictet, il gruppo elvetico attivo nel settore della gestione di patrimoni dall’ormai lontano 1805 e presente in Italia da 20 anni all’interno del quale ricopre il ruolo di Managing Partner, uno degli 8, ed è corresponsabile con Rémy Best delle attività di Wealth Management a livello globale da quando ne è entrato a fare parte nel giugno 2018. Un passo che comporta evidentemente obiettivi di lungo, anzi lunghissimo termine e che di conseguenza richiede nell’immediato il perseguimento di allenamenti e strategie idonee a raggiungerli.

Fuori di metafora significa che intendete espandervi in maniera organica e non tramite acquisizioni?

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Esatto, la crescita interna è sufficiente per noi. Pictet non ha mai proceduto a effettuare acquisizioni e anche in questa fase la ricetta non cambia: quando si parla in generale di risparmio gestito preferiamo affidarci a prodotti innovativi e in grado di aggiungere valore, in modo analogo nel wealth management puntiamo semplicemente a fornire servizi di qualità che offrano performance efficaci attraverso buone gestioni. Se proseguiremo a fare questo lavoro nell’interesse del cliente e con un’ottica di lungo termine appunto continueremo a crescere con costanza come abbiamo sempre fatto.

Vale anche per l'Italia, dove il mercato è senza dubbio in fermento?

I clienti sempre più esigenti e che si aspettano servizi sempre più evoluti da una parte, la spinta verso una maggior trasparenza data dai regolatori dall’altra rendono molto interessante questa fase per l’industria. Chi saprà reinventarsi e giocare con queste nuove regole, e in Italia esistono almeno un paio di realtà che si stanno muovendo molto bene, potrà esercitare un ruolo da protagonista nel processo di consolidamento, altri invece avranno maggiori difficoltà. Per Pictet, l’Italia resta un mercato chiave, nel quale vogliamo continuare a crescere con “tranquillità”, e abbiamo tempo di farlo perché non siamo una società quotata.

Lo dice come se fosse un vantaggio, perché?

La particolarità dei soci del gruppo Pictet è di essere essi stessi imprenditori, di parlare la stessa lingua quando ci si siede al tavolo con i clienti e di agire quindi con un obiettivo comune. In più, non dobbiamo rendere conto al mercato con obiettivi di breve termine, come utili o dividendi sempre più alti: siamo più attenti al rischio, abbiamo la possibilità di poter risparmiare energia, se serve, come quando si corre una maratona e questo ci dà appunto vantaggi nel lungo periodo sugli altri.

Prima accennava a prodotti innovativi, a cosa si riferiva?

Per ottenere rendimenti significativi in un mondo in cui i tassi sono bassi e lo rimarranno ancora a lungo occorre avere in portafoglio anche strumenti illiquidi. Sto parlando di nuove classi di investimento non quotate come private equity o immobiliare che i clienti di fascia alta mostrano di apprezzare. Per questo abbiamo lanciato qualche settimana fa anche in Italia Pictet Real Estate Capital – Elevation I, un fondo chiuso della durata di 8 anni e destinato a soggetti professionali che investe in proprietà immobiliari in prevalenza di tipo commerciale nelle città europee, con obiettivo particolare l’area Nord del Continente.

Non si alza un po' troppo l'asticella del rischio così?

Non credo, ci riferiamo a gestioni sofisticate e clienti evoluti e manteniamo comunque un approccio cauto suggerendo di inserire in portafoglio una quota compresa fra il 5% e il 15% con un obiettivo di lungo termine. Di fronte abbiamo del resto clienti sempre più maturi e sotto l’aspetto dell’offerta un numero crescente di società che stanno sviluppando soluzioni di questo genere.

Si sta anche provando a inserire obbligatoriamente una quota pari ad almeno il 7% di strumenti illiquidi in prodotti destinati ai piccoli risparmiatori come i Pir 2, cosa ne pensa?

La motivazione alla base di un provvedimento simile, cioè portare il risparmio dei privati verso l’economia reale italiana, è comprensibile e condivisibile. In generale resterei però cauto di fronte all’ipotesi di mettere in contatto il mondo retail con i prodotti illiquidi.

Tornando ai movimenti nel settore del risparmio italiano, Kairos - acquisita da Julius Baer quando lei era alla guida del gruppo elvetico - è di nuovo ufficialmente in vendita. Che effetto le fa?

Non mi sento di commentare, sono soltanto dispiaciuto perché si tratta di una bellissima società.

Magari continuerà a esserlo.

Probabilmente sì.

Ma non nelle vostre mani.

Assolutamente no, non nelle nostre mani.

Riproduzione riservata ©
  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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