“Boris Godunov”, alla Scala la prima versione dell’opera di Musorgskij
Realizzata in sette scene e datata 1869, è stata scelta del direttore Riccardo Chailly per la sua grande forza espressiva
di Armando Torno
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Per la rappresentazione di Sant'Ambrogio alla Scala, questa sera, corrispondente alla nona inaugurazione di stagione nel teatro del Piermarini del maestro Riccardo Chailly, la scelta è caduta sulla prima versione dell'opera di Musorgskij “Boris Godunov”. Realizzata in sette scene, è datata 1869.
Considerata un classico e non soltanto una vera e propria pietra miliare della musica russa, questo lavoro teatrale ha influenzato buona parte del Novecento. Di certo la partitura sprigiona una rara forza, giacché Musorgskij fu il creatore di una musica espressiva, non decorativa, a volte aspra, la cui fonte va cercata nell'anima del popolo russo. E' il medesimo percorso che in letteratura hanno compiuto Tolstoj e Dostoevskij: il primo esprimendo ideali universali di pace, il secondo ponendo le più inquietanti domande su Dio.
La prima versione
“Boris Godunov”, con le sue versioni moltiplicate da revisioni, è il prototipo di quello che chiamiamo “work in progress”. Il maestro Chailly, scegliendo la prima versione (concepita in quattro parti, prologo e tre atti) evoca una partitura in cui abitano note che sembrano scolpite più che scritte. Vero è che lo stesso Musorgskij, in una pagina autobiografica fatta conoscere da Rimskij-Korsakov in “Pis´ma i dokumenty” (“Lettere e documenti”, 1932) dichiara di non appartenere a nessun gruppo musicale contemporaneo.
Unicità
Il fascino di questa rappresentazione scaligera è da cercare nell'unicità del primo “Boris Godunov”, la cui arte è distante da quegli elementi che caratterizzarono la musica occidentale; si è lontani dalle forme, dalla polifonia, dagli sviluppi tematici applauditi in Europa per tutto il XIX secolo. Non cercate di cogliere quella che taluni chiamano logica costruttiva, perché non c'è; tutto nasce dalla parola e dal gesto e da essi le note rampollano in piena libertà. Vi accorgerete alla fine di questo “Boris Godunov” che avrete ascoltato qualcosa di singolare: un'armonia che non sospettavate, una varietà ritmica introvabile altrove.
E' doveroso aggiungere che la prima stesura dell'opera fu bocciata dal Comitato di Lettura dei Teatri Imperiali di san Pietroburgo perché mancante di un personaggio femminile di rilievo e, in particolare, perché giudicata carente dal punto di vista melodico. Poi sulla partitura – con aggiunte, tagli, ripensamenti e anche altro – intervenne lo stesso Musorgskij e, in un secondo momento, Rimskij-Korsakov. Non è il caso di riassumere la storia filologica di tale composizione, basti ricordare che Chailly ha scelto di far rivivere le note create all'inizio e bocciate dai soliti formalisti.
Nelle settimane scorse si è discusso molto intorno a quest'opera e ai suoi intenti morali e politici. Certo, condanna la tirannide, il sopruso, l'assassinio (non ne riassumiamo la storia, che è facilmente trovabile), ma come tutti i capolavori della lirica che nascono da testi permeati di forte intensità, è bene tener presenti alcune cose.Innanzitutto: il libretto è del compositore: lo ha ricavato dalla tragedia omonima di Puskin e dalla “Storia dello Stato russo” di Nikolaj M. Karamzin, opera monumentale mai terminata, che narrava tra l'altro dettagliatamente le sanguinose vicende consumatesi tra gli ultimi anni del XVI secolo e i primi del XVII.In particolare, il testo di Puskin (dedicato a Karamzin) è un'opera che il padre della letteratura russa desiderava rendere shakespeariana, allontanando scene e personaggi dagli schemi e dalle razionalità settecentesche. Da qui le libertà che si è concesso, la trasformazione e la resa drammatica dei personaggi. In una prefazione all'opera, rimasta in abbozzo, Puskin confessa di aver scritto la “pièce” “in una totale solitudine, lontano dal mondo che mi stava diventando sempre più indifferente”.Quel che cercava erano risposte interiori agli orrori della storia, spiegazioni aiutate dall'anima. Così come farà il regista Kasper Holten, che ha tenuto conto anche dei drammi interiori oltre che di quelli recati dalle vicende umane.
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